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LA TORTURA
E GIULIO REGENI

La parola tortura deriva dal verbo del tardo-latino tòrquere, che significa infliggere tormento, dolore e acute sofferenze fisiche costringendo gli arti [superiori o inferiori] a un movimento avvolgente su essi stessi mediante torsione/torcitura. Essa è l’impiego di una abominevole attività di specialisti, i quali, attraverso reiterate violenze con mani [ pugni], con piedi [calci] e l’impiego di strumenti, infliggono dolori fisici ottenere informazioni, o confessioni da utilizzare, poi, in separata sede nell’interesse politico del potere contro stesso torturato o contro terzi. È, quindi, un criminale metodo di coercizione fisica, che, come è noto, venne abbondantemente usato dal Tribunale della Santa Inquisizione, per produrre rei confessi e ree confesse di eresia, di magia, di stregoneria e, spessissimo, infondate chiamate di correo. Nel lontano passato la tortura fu una procedura ritenuta giusta come mezzo per ottenere una prova e nel medio evo veniva sottoposto alla tortura [torsione delle membra] non solo l’imputato, per fargli confessare il delitto e fargli rivelare, eventualmente, il nome di complici, ma a essa venivano sottoposti anche testimoni renitenti, per farli parlare. Il termine ha subito una estensione dal significato originale, per cui nell’ambito della parola tortura sono comprese le sofferenze di qualsiasi tipo, cagionate da violenze, fisiche o psicologiche o farmacologiche, inflitte a spie o prigionieri allo scopo di ottenere informazioni di interesse giudiziario o militare. Nell’Europa del XVI secolo alcuni filosofi presero a protestare contro la tortura e in seguito ci furono anche dei teologi, ma l’uso della tortura continuò. Fu nel 1740 che Federico di Prussia, per primo in Europa, abolì la tortura, seguito, poi, dai sovrani degli altri Stati europei e, infine, essa fu soppressa dalla Costituente del 1789 in Francia. Nella Dichiarazione universale dei diritti umani, l’ articolo 5 recita: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti”. Con esso articolo viene stabilito il diritto dell’uomo a non essere sottoposto a tortura e ad altri trattamenti, disumani e degradanti, e questo diritto è uno dei diritti umani protetti dal diritto internazionale essendo il divieto di tortura, affermato nella Dichiarazione universale dei diritti umani - ribadito nel Patto internazionale per i diritti civili e politici e regionali, sancito nel 1984 nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti Il divieto dell’uso della tortura è assoluto, per cui un pubblico ufficiale, o una persona che agisca a titolo ufficiale, non deve mai infliggere dolore o sofferenze gravi a un’altra persona anche in situazioni di emergenza. Questo, però, sulla carta, perché, nonostante l’obbligo per gli Stati di considerare reato la tortura, indagare in modo approfondito e imparziale su qualsiasi denuncia e perseguire i responsabili, la tortura è ancora oggi molto diffusa. In alcuni paesi è sistematica, in altri è un fenomeno isolato ed eccezionale. Un ricordo di casa nostra non sarà inutile, per far conoscere le metodologie dei torturatori di ogni latitudine. A Firenze nel periodo 1943-1944 ebbe sede in un palazzo di via Bolognese [la Villa Triste di Firenze] un reparto servizi speciali della MVSN [milizia volontaria sicurezza nazionale], i cui membri erano galeotti di ogni tipo [amnistiati per arruolamento nelle file della Repubblica Sociale] e degenerati [sadici] . I locali occupati da quel reparto dei servizi speciali videro atti efferati, stupri, sevizie di tutti i tipi: pestaggi furiosi anche sui genitali, estirpazione delle unghie, evirazioni e occhi cavati, sigarette spente sui capezzoli alle ragazze. Tra i partecipanti ai sadici interrogatori c’era persino un frate benedettino, il quale, tra gli urli e le grida strazianti dei torturati, suonava al pianoforte canzonette napoletane. Queste note relative alla tortura, che gettano una luce sinistra su questo fenomeno, hanno la loro ragion d’essere perché, recentemente, di esso è stato vittima al Cairo un nostro connazionale, di nome Giulio Regeni, il quale era in Egitto, per fare delle ricerche sociologiche. Giulio è stato arrestato il giorno 25 di gennaio, 5° anniversario della rivolta di piazza Tahrir, avvenuta al Cairo nell’anno 2011 rivolta che ebbe come esito il rovesciamento dell’allora presidente Mubàrak. Dal suo arresto di lui non si è saputo più nulla fino al giorno 3 di febbraio, giorno in cui ai bordi di una strada periferica della Capitale d’Egitto. è stato trovato il suo cadavere orrendamente sfigurato e mutilato. Appare, subito, evidente che il nostro connazionale durante i giorni, nei quali era entrato nella categoria dei desaparecidos, è stato sottoposto a una feroce tortura, perché condizioni della sua salma, rendono testimonianza di pratiche abominevoli usate da certi apparati dei servizi segreti di Stati governati da regimi dittatoriali [e forse, anche non dittatoriali] nei confronti di persone scomode, o pericolose per la dittatura, vere o presunte tali. Teatro del crimine è l’Egitto di oggi, nel quale i diritti e le libertà vengono represse con la tortura fino alla morte da parte del governo e della polizia al servizio della dittatura al potere dopo il golpe che ha defenestrato il primo Presidente eletto democraticamente dagli Egiziani, dopo 80 anni di dittatura militare [Nasser, Sadàt, Mubarak]. Risulterebbe, infatti, che Giulio, per le sue ricerche più di un mese prima del 25 gennaio, abbia partecipato a una riunione dei sindacati, sia stato fotografato e quindi, come capita in questi casi, sia stato sottoposto a indagini da parte di al-mukhabaràt, che dopo aver chiesto informazioni su lui ai coinquilini, lo sottoposero a sorveglianza. Di essere attenzionato dalla polizia si accorse Giulio, il quale, prima di scomparire, ebbe tempo di informa di avere paura per la sua incolumità, per cui la sua fine orribile facilmente può essere inquadrata nel clima di violenta repressione dell’opposizione, classificata come terroristica, esercitata dal potere attuale, figlio del golpe contro il Presidente Morsi, eletto democraticamente dopo 80 anni di dittature militari. Circa la morte di Giulio, gli attuali esponenti di primo piano della sanguinaria dittatura militare, capeggiata dal presidente El Sisi, hanno dato, una dopo l’altra, diverse spiegazioni, talmente risibili da rendere del tutto indubitabile il coinvolgimento di apparati dello Stato E ciò rende plausibile il pensare che il tragico evento resterà senza risposta, riguardo alle responsabilità, perché tutte le versioni hanno come scopo di escluderne la responsabilità, diretta o indiretta, con il fatto delittuoso, non solo, ma anche di presentarsi come vittime di un complotto anti-governativo. Il ministero degli Interni attribuisce le torture e l’omicidio a una banda di criminali, operante nel Cairo, costituita da persone malvagie, dedite alla rapina, criminali comuni, che colpiscono cittadini stranieri, per i più diversi motivi, tra i quali la xenofobia o la volontà di guastare le relazioni internazionali dell’Egitto. Alla malvagità dei fantomatici criminali comuni ha da attribuirsi le torture inflitte a Giulio, ma appare evidente che si tratta di un tentativo di depistaggio, perché non si capisce il movente delle torture ripetute e il fatto che i carnefici di Giulio ne abbiano lasciato in giro i documenti e, incredibile il racconto del conflitto a fuoco tra le forze dell’ordine e gli assassini, conclusosi con la morte di tutti loro. Da quando nel marzo dell’anno scorso il dicastero degli affari interni ha per ministro il generale Magdy ‘àbd el-Ghaffār – “come riferiscono gli attivisti dei diritti umani” – i casi di tortura sono “aumentati in modo esponenziale”, la qual cosa rende inattendibile la versione del ministro, che viene rifiutata dal punto di vista investigativo dalla procura di Roma stessa e dal ministro Gentiloni, il quale ha continuato a pretendere la verità. Benché ci sia la Convenzione O.N.U. contro la tortura e ci sia l’Accordo di associazione dell’Egitto con l’Unione Europea e i suoi membri che prevedono l’obbligo internazionale di investigare e di processare, o di estradare le persone sospettate di aver compiuto torture, c’è, purtroppo, però, da temere che non si saprà mai chi ha barbaramente torturato e ucciso Giulio, perché attualmente l’Egitto è un Paese in cui sia le forze di sicurezza governative che altri gruppi para-militari non si fanno scrupolo di usare mezzi come la tortura e l’omicidio contro potenziali nemici o oppositori. Sono passati oltre due mesi dalla tragica fine di Giulio e in questo lasso di tempo i vertici del regime autoritario egiziano l’hanno spiegata come un’azione contro le buone relazioni tra Italia ed Egitto, poi con un incidente stradale, poi con una festa terminata male, poi come esito una rissa per motivi personali fino alla banda di criminali xenofobi. Il ministro degli interni ha affermato, infine, che si tratta di un caso isolato, ma il Centro Nadīm [al-màrkaz an-Nadīm] afferma al contrario che l’omicidio di Giulio Regeni non è affatto un caso isolato, riferendo che nel 2015 sono stati registrati 464 casi di sparizione forzata e 1176 casi di tortura, quasi 500 dei quali con esito mortale, e nel solo mese di febbraio di quest’anno, i casi di tortura registrati sono stati 88, otto dei quali con esito mortale. E’ cosa intollerabile che la dittatura cerchi di farci credere alle sue invenzioni come quella dello scontro a fuoco tra le “forze dell’ordine” e gli assassini-torturatori del nostro Giulio, come stanno le cose non è assolutamente improbabile che non si tratti della eliminazione fisica di oppositori, Di fronte a queste prese in giro da parte degli esponenti del regime dittatoriale instaurato in Egitto dai carri armati di Al Sisi dopo il colpo di stato con cui è stato arrestato il presidente Morsi eletto democraticamente dagli Egiziani, sollecitiamo il nostro Governo di agire energicamente nei confronti della dittatura che imperversa sulle sponde del Nilo, affinché i responsabili del martirio del nostro Giulio, da loro ben conosciuti, vengano consegnati alla giustizia. E questa nostra convinzione è suffragata dal fatto che essi, i responsabili del regime, si sforzano di accreditare delle versioni assolutamente inconciliabili con il clima di terrore dal loro instaurato, per reprimere qualsiasi attività di opposizione.

N.° 197

Ràgiab
1437
Aprile
2016

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