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IN MEMORIA
11 SETTEMBRE 2001

Sono passati quindici dalle riprese in diretta dello spettacolo apocalittico messo in onda a Nuova York la mattina locale del giorno 11 settembre 2001, quando sotto gli obiettivi delle telecamere due aerei kamikaze si sono schiantati, il secondo alcune decine di minuti dopo il primo, contro i due grattacieli gemelli del World Trade Center nell’isola di Manhattan, provocando il crollo dei due edifici e la morte di circa tremila persone. Immediatamente fu chiamato in causa il terrorismo islamico e dopo la tragedia i fruitori dei mass media televisivi hanno assistito a una girandola di trasmissioni, in ciascuna delle quali, in forma grossolana, subdola e oscurantista, l’Islàm fu aggredito con virulenza estrema da intellettuali, o presunti tali, che, magari a loro insaputa, lavorano al servizio di interessi, per la difesa dei quali è necessario dare un’immagine obbrobriosa dell’Islàm, mettendo nuovamente a fuoco opinioni negative e pregiudizi consolidati, che hanno avuto le loro radici culturali negli anni bui del medioevo, latenti nell’immaginario collettivo occidentale. Il nostro messaggio, nell’imminenza della ricorrenza della data dell’evento denuncia la falsità delle immagini dell’Islàm, emergenti dalla propaganda oggettivamente di contrasto a esso condotta dai mass media, con rare eccezioni, ha grosse difficoltà d’ingresso in menti prevenute e irrimediabilmente immerse in un rifiuto di ascolto, determinato dal profondo e persistente lavaggio del cervello. Ma è nostro dovere affermare la verità: chi vuole creda e chi vuole non creda. Per prima cosa dobbiamo sottolineare che la predicazione della rivelazione divina è il compito affidato da Dio a tutti i suoi Messaggeri, perché con essa ciascuno di loro guidasse il popolo, in mezzo al quale era stato suscitato. Il Profeta Muhàmmad, che Iddio lo benedica e l’abbia in gloria, che è stato il Sigillo dei Profeti e che ha portato un Messaggio (il Sublime Corano) che ha come destinatari tutti gli uomini delle generazioni dei tempi successivi alla sua rivelazione, ha adempiuto alla sua Missione apostolico-profetica e il dovere della comunicazione del Messaggio, dopo di lui, è un preciso dovere di ogni Musulmano. La diffusione del Messaggio, però, deve avvenire con le modalità indicate da Dio nel Sublime Corano e dal Profeta Muhàmmad, che Iddio lo benedica e l’abbia in gloria, nel suo insegnamento. Il musulmano ha in dovere di trattare la gente con umanità e modi gentili, discutere pacatamente, sapere rispondere all’insulto con la buona parola, aiutare il prossimo nelle cose materiali e in quelle spirituali, promuovere il bene e riprovare il male, essere amorevole e paziente e dare il buon esempio con il suo comportamento in ogni sfera di attività e in ogni momento della vita quotidiana, perché il comportamento ha un valore educativo più efficace di un discorso eloquente, non deve arrecare oltraggio ai destinatari del culto di altre religioni, onde evitare che i seguaci delle altre religioni offendano Allàh e il Profeta e, per ritorsione, arrechino danni alle cose e offese all’onore e alle persone dei Musulmani, come esplicitamente ordinato da Allàh, rifulga lo splendore della Sua Luce nel Sublime Corano. Questi sono i tratti salienti della linea di condotta islamica, in generale e in modo particolare di quella di chi si impegna nella comunicazione del Messaggio islamico. In secondo luogo dobbiamo sottolineare che “il gihàd” (che in arabo significa, letteralmente, lo sforzo), o come erroneamente si dice e scrive alla francese “la jihad”, è un istituto del diritto islamico, che rende lecita la difesa della propria persona e delle proprie cose, la difesa della religione se viene attaccata, il mettere fine a una controversia o l’impedire l’azione di proselitismo, a chiunque diffonda dottrine diverse da quella islamica e promuova pratiche religiose diverse dall’Islàm in un contesto religioso islamico. La predicazione dell’Islàm è l’attività finalizzata alla salvezza dal fuoco e il gihàd è il mezzo di difesa da aggressioni provenienti dall’esterno e provenienti dall’interno, per garantire condizioni di pace alla comunità islamica . L’accettazione del messaggio dipende dal destinatario di esso, che è libero di accettarlo o di rifiutarlo. La difesa dall’aggressione bellica (vim vi repellere licet) deve essere svolta secondo le regole della guerra e la reazione difensiva deve essere rivolta, esclusivamente, contro l’aggressore, secondo il codice di guerra islamico, che prescrive i limiti dell’attività bellica con estrema precisione. È preciso dovere dei Musulmani di andare in soccorso dei fratelli, se essi sono vittime di un’aggressione militare, tranne il caso in cui essi (I chiamati in soccorso) abbiano un patto di non belligeranza con l’aggressore. In questo caso, il patto non può essere violato. Questa linea di condotta è sancita dal Sublime Corano (9/72): Se essi (dei Musulmani) vi chiedono soccorso in nome della religione, avete il dovere di intervenire, ma non contro un popolo a cui siete legati da un patto di pace. Nel Sublime Corano si trovano direttive per il gihàd militare, che riguardano situazioni particolari del tempo di prima espansione dell’Islàm, in cui i Musulmani erano perseguitati dagli idolatri politeisti della Mecca, desiderosi di annientare fisicamente la comunità islamica nascente. Queste direttive, che autorizzano la difesa dalll’aggressione e la condotta delle operazioni belliche, sono attivabili quando quelle situazioni storicamente si ripetono, ma non in contesti diversi da quelli che hanno originariamente occasionato la direttiva coranica. Pertanto il gihàd e la sua logica militare entrano correttamente in gioco dal punto di vista strettamente islamico solo quando i Musulmani vengono messi nelle condizioni di dover difendere le proprie vite, i propri beni e i propri paesi dall’aggressione. Quando, invece, non vi è aggressione è anti-islamico comportarsi nei confronti dei non musulmani nella logica del gihàd militare e anche nel caso dell’autodifesa l’attività bellica deve limitarsi al paese o alla regione aggredita. Il soccorso ai fratelli aggrediti è lecito nei limiti indicati dal Corano, cioè è escluso se vi è un patto di pace con l’aggressore, per contrastare il quale è richiesto l’aiuto da parte dei fratelli. L’attività bellica dei musulmani contro i non musulmani è permessa soltanto come forma di risposta militare all’aggressione, eseguita da unità militari di un esercito nemico. Dice Iddio nel Sublime Corano: Combattete militarmente al servizio della causa di Dio coloro che vi combattono militarmente e non trasgredite le leggi giuste della guerra, perché Iddio non ama i trasgressori (2/190). È proibito dal codice di guerra islamico compiere attività bellica contro civili (non combattenti) non inquadrati militarmente, usando violenze, uccidendo donne, vecchi e bambini, religiosi nei loro luoghi di culto, commercianti, artigiani, contadini, operai, medici, infermieri, portatori di handicap, ciechi, paralitici, malati di corpo e di mente, storpi di mano e di piede; è proibito compiere mutilazioni sui caduti, maltrattare i prigionieri di guerra, eseguire torture, compiere azioni terroristiche e distruzioni in paese nemico, demolizione di abitazioni, abbattimento di alberi da frutto (e qui qualche imbecille chiederà, come già qualcuno ha chiesto: perché quelli non da frutta sì?) e uccisione di animali domestici, tranne che a scopo alimentare, avvelenamento di acque e, in generale, sono vietati tutti i comportamenti offensivi che non siano diretti contro obiettivi militari dell’aggressore. La vita umana, la vita di ogni figlio di Adamo, è sacra e non può essere tolta se non nei casi in cui versare il sangue è reso lecito da Dio, che è Colui, al Quale la vita appartiene, il Quale la dà e la toglie, perché nessuno muore se non per effetto di un decreto divino. Dice Iddio, rifulga lo splendore della Sua Luce, nel Sublime Corano: Chi toglie la vita a una creatura umana e come se togliesse la vita a tutti gli uomini e chi salva la vita di una creatura umana e come se salvasse tutti gli uomini. La stessa cosa vale quando la vittima dell’uccisione è l’autore stesso dell’atto criminoso, cioè il suicidio è proibito dall’Islàm ed il suicida è punito in eterno con la ripetizione continua dell’atto di violenza con cui si è tolto la vita. Alla luce di queste necessariamente sintetiche delucidazioni, appare chiaro che gli attentati contro i grattacieli gemelli di Nuova York e il Pentagono a Washington non rientrano nella linea di condotta islamica e, quindi, che coloro che li hanno organizzati e portati a termine, se pure erano stati circoncisi secondo la sunna del Profeta Muhàmmad, che Iddio lo benedica e l’abbia in gloria, si sono posti fuori, oggettivamente, dalla comunità muhammadica. La qualità islamica non è una condizione biologica, ma una qualità comportamentale legata all’osservanza del codice di vita islamico, Corano e Sunna, per cui, chiunque non sia fedele ad esso, nel momento della sua infedeltà è uscito dall’Islàm e perde la condizione di “musulmano”, che significa “obbediente al Corano e alla Sunna”; non ha senso infatti l’espressione “obbediente disobbediente”! Per questo motivo associare terrorismo e Islàm è una spregevole forma verbale di subdola e delittuosa istigazione all’odio di religione, poiché l’espressione “terrorismo islamico”, se analizzata in profondità, a livello di significato oggettivo delle due parole, si rivela valida nella stessa misura in cui ha senso il binomio geometrico “cerchio triangolare”! Chi è terrorista non è musulmano e chi è musulmano non è terrorista. Secondo le informazioni date dal Governo USA relativamente all’identità dei kamikaze essi erano originari di Paesi del mondo islamico, che sono entrati negli Stati Uniti con i documenti di ingresso in regola, la qual cosa è considerata dall’Islàm come la tacita stipulazione di un patto di pace e di sicurezza tra lo Stato che concede il visto di ingresso e colui al quale il visto d’ingresso è concesso. Il musulmano a cui uno Stato concede il visto d’ingresso nel suo territorio è, quindi, obbligato dalla legge islamica a non svolgere nessuna attività che attenti alla sicurezza del Paese che lo ospita, anche se egli non ha fatto nessuna esplicita dichiarazione in tal senso. Atti di pirateria aerea su aerei civili con a bordo donne, vecchi, bambini sono atti non contemplati da codice di condotta islamico, in quanto atti terroristici e tanto meno è concepibile come impresa islamica il suicidio dei dirottatori e la strage dei passeggeri degli aerei civili dirottati nell’attacco ai grattacieli gemelli di Nuova York e al Pentagono di Washington con la strage di migliaia di persone presenti negli obiettivi dell’impresa criminale al momento della sua tragica e catastrofica conclusione. Non c’è niente di islamico né nell’azione né negli autori dell’azione, anche se essi portano, come sembra, nomi appartenenti all’onomastica arabo-islamica e il loro paesi di origine fanno parte dell’area geo-politica, in cui l’attuale religiosità popolare predominante ha le sue radici negli aspetti cultuali della spiritualità dell’antico ordinamento islamico, vigente un tempo in quell’area. Una azione, che abbia le caratteristiche oggettive di una azione bellica e che sia diretta, fuori da una situazione di dichiarata belligeranza tra due Stati, a realizzare distruzioni di beni mobili ed immobili e massacro di civili, dediti alle loro attività lavorative quotidiane, è in totale contraddizione e violazione dei principi dell’Islàm, quindi, non è azione islamica, quindi non può e non deve essere qualificata come islamica. Coloro che nei mezzi di comunicazione di massa associano terrorismo e Islàm compiono, oggettivamente, attività terroristica nei confronti del loro pubblico di lettori e delle loro audiences radio-televisive, procurando allarme e paura, fomentando e alimentando sentimenti di avversione nei confronti dei Musulmani, che vivono da noi, odio di religione e fenomeni di razzismo xenofobo, dato che la maggior parte dei Musulmani presenti in Italia sono immigrati nella penisola dal mondo islamico afro-asiatico. In tutte le loro performances, dal contenuto palesemente diretto ad attivare disgusto ed avversione contro l’Islàm, i conduttori, i presentatori, i personaggi dal dente più o meno avvelenato contro l’Islàm, scelti con cura meticolosa ai fini della realizzazione del suddetto risultato voluto, ripetono il ritornello che l’Islàm non è quello delle “Twin towers”, che il terrorismo islamico è frutto di una lettura integralista del Corano, che l’Islàm ha diverse anime: c’è l’estremismo islamico, l’Islàm radicale, l’Islàm politico, l’Islàm spirituale (leggi sufico), l’Islàm moderato, l’Islàm secondo caio, secondo tizio, secondo sempronio e secondo mevio… e via dicendo e chi più ne ha più ne metta al servizio della creazione nelle menti degli ascoltatori della più completa confusione di idee sulla realtà dell’Islàm. L’Islàm è una ben precisa realtà unitaria, che si basa sulla lettura delle fonti dottrinali e normative (il Sublime Corano e la Nobile Sunna) secondo le interpretazioni nelle fonti stesse contenute e le regole di interpretazione in esse dettate e non, invece, su letture interpretative eseguite con criteri esegetici diversi! Ciò è risultato della sapienza divina, che ha voluto sottrarre i fedeli alle inevitabili conflittualità, derivanti dalle controversie interpretative. Chi si attiene alle regole dell’Islàm, nelle quali con chiarezza è definito ciò che è lecito e ciò che è illecito, è musulmano; e chi segue regole diverse, quando e nella misura in cui le segue, mette sé stesso fuori dall’Islàm, cessa di appartenere alla Comunità di Muhàmmad, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria. Pirateria, strage di creature umane, distruzione di beni mobili ed immobili, suicidio mettono chi li compie fuori dall’Islàm, in quanto sono azioni fuori dall’obbedienza a Dio (questo è il significato di Islàm). Lo stupore incredulo della opinione pubblica mondiale nel prendere atto della vulnerabilità dell’unica super-potenza militare politica ed economica del pianeta ha costretto l’amministrazione Bush jr. a organizzare una risposta colossal al fine di neutralizzare l’enorme shock che ha colpito gli Americani, suscitando in essi reazioni di odio e sete di vendetta per l’oltraggioso vulnus inferto al prestigio degli States e per le migliaia di vittime delle stragi di Nuova York e di Washington dal terrorismo: etichettato come islamico, personalizzato nello sceicco miliardario saudita Osama bin Laden, localizzato principalmente nell’Afghanistan “talebano” come centro direzionale e individuato dalla Central Intelligence Agency e dal Federal Bureau of Investigation in numerose agenzie disseminate nel mondo, sotto forma di rete di società di copertura e finanziamento dell’attività terroristica globalizzata. La gigantesca macchina bellica USA ha avuto il consenso del mondo “civile”, con sostegno morale e militare, a mettersi in moto contro le basi del terrorismo in Afghanistàn, l’Alleanza del Nord tagiko-uzbeka, ha travolto il regime talebano, i massicci bombardamenti Usa, nei quali sono state testate sul campo nuove tecnologie militari hanno seminato morte e distruzione non solo su obiettivi militari, con alcune migliaia di vittime civili, provocando l’abbandono dei centri abitati di decine di migliaia di profughi terrorizzati dai massicci bombardamenti e creando le condizioni di un imminente “disastro umanitario”, a Kabùl è stato insediato un governo di coalizione tra le componenti etniche anti-talebane, di Bin Laden e del Mullàh Omar, guida spirituale dei Talebani sono state perse, a tutt’oggi, le tracce, mentre è giunta notizia e documentazione fotografica di massacri di prigionieri incatenati da parte dei vincitori, la maggior parte dei caduti USA nelle operazioni, come già nella guerra del Golfo, sono stati vittima del cosiddetto “fuoco amico” e i “volontari” non afghani scampati al massacro e fatti prigionieri, a quanto risulta dall’informazione, vengono trattati senza alcun rispetto della loro dignità umana. La risposta della superpotenza planetaria all’ingiusta violenza dell’11 settembre, attuata da un gruppuscolo di scellerati, probabilmente infatuati da utopiche presunzioni, secondo una logica dettata da una lucida pazzia, che ha ridato fiato alle trombe dei pronosticatori dell’imminente conflitto tra civiltà occidentale e civiltà musulmana, si colora sempre più come azione ingiusta e sproporzionata, che rischia di ritorcersi a sua volta contro gli Stati Uniti, esacerbando tensioni internazionali e alimentando lo spirito di odio e di vendetta in una spirale perversa di violenza. La speranza è che il governo USA, dopo avere ristabilito nella nazione americana la fiducia nella propria potenza attraverso l’affermazione della sua leadership indiscussa a livello planetario sul piano diplomatico e militare, da una parte lasci ai servizi investigativi e di polizia dei diversi paesi l’attività di prevenzione e repressione del fenomeno terrorismo, in una struttura unitaria sovra-nazionale globalizzata, senza interventi militari in quegli Stati in cui sono state individuate basi di cellule terroristiche, perché tali interventi avrebbero un impatto negativo sull’opinione pubblica mondiale; e dall’altra, a livello politico, operare in modo da eliminare, dovunque esse si trovino, le condizioni sociali, politiche, economiche, di ingiustizia, di sopruso, di sfruttamento e di oppressione, nelle quali nasce e si sviluppa, come reazione compensativa abnorme al sentimento frustrante di impotenza, il ricorso nichilista al terrorismo stragista e suicida, da parte di soggetti psicolabili, la cui debolezza mentale può essere utilizzata, come più volte si è verificato nella storia, nel quadro di losche trame ordite in qualche palazzo del potere, in ciascuno dei quali è in onore il principio machiavellico che il fine giustifica i mezzi, principio che non ha vigore nell’Islàm e che pone fuori dall’Islàm chi lo pratica.
E la Lode appartiene ad Allàh
Il Padrone e Signore degli universi.

N.° 200

Dhul Higgiah
1437
Settembre
2016

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