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LA TRAGEDIA
DEI ROHINGYA

C’è uno Stato nel Sud-est dell’Asia, che di recente ha assunto il nome di Myanmar, in sostituzione del suo nome storico di Burma o Birmania. Questo stato confina con il Bangla Desh, che, al tempo dell’Impero coloniale di Sua Maestà Britannica, si chiamava Bengala, nome a me noto, quando ero ragazzo nel secolo scorso, grazie al romanzo dello scrittore Omar Salgari (figlio del celeberrimo Emilio Salgari, autore di innumerevoli romanzi di avventure) intitolato “Il tesoro del Bengala”, da cui fu tratto anche un film. In questi ultimi tempi il nome Bangladesh è legato al nome Rohingya, che è il nome di una popolazione musulmana presente da secoli in una regione del Myanmàr [Birmania], denominata Arakan, al confine con Banglsdesh. I Rohingya sono una minoranza etnica musulmana all’interno di uno Stato, la religione della popolazione del quale è in stragrande maggioranza buddista, uno Stato, la leader del quale è un <Premio Nobel>, la signora Aung San Suu Kyi, alla quale nel 1991 fu assegnata la prestigiosa onorificenza per “la sua lotta non violenta per la democrazia e i diritti umani”. La minoranza etnica <rohingya>, di fede islamica, che è, attualmente, costituita da circa un milione e duecentomila anime vive da centinaia e centinaia di anni, cioè da più secoli, in una regione nord-occidentale del Myanmar (già Birmania/Burma), la cui popolazione - in maggioranza buddista – li odia per il loro essere Musulmani, li discrimina e, contro ogni evidenza storica, il governo di Naypiydaw, considerandoli <immigrati illegali provenienti dal confinante Bangladesh> sta adottando nei loro confronti una politica interna che il Segretario Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, Antonio Gutierrez, ha definito senza mezzi termini di <pulizia etnica>, affermando <che un terzo della popolazione rohingya si trova a dover fuggire dal paese> e chiedendo – domanda retorica: <C’è forse una parola migliore per descrivere questa situazione?>. La Birmania è stata governata da una dittatura militare per circa 50 anni fino al 2011, anno nel quale sotto il governo civile dell’ex generale Thein Sein ha cominciato la sua lenta marcia verso la democrazia, che ha raggiunto il suo obiettivo nel novembre del 2015, nel quale la <Lega nazionale per la democrazia> guidata dal Premio Nobel per la pace Suu Kyi ha vinto le prime elezioni democratiche. La vittoria della <democrazia>, tuttavia, non ha portato alla risoluzione delle controversie etniche e i militari continuano a controllare la vita del paese, con il 25%  dei seggi del Parlamento e la titolarità dei ministeri chiave degli Interni e della Difesa.
Facciamo due salti indietro nel passato: uno nel 1939, quando un reparto di SS, i cui effettivi indossavano uniformi dell’esercito polacco, attaccarono una stazione radio del terzo Reich [la Germania nazista di Adolf Hitler], per offrire al dittatore il pretesto per l’ultimatum alla Polonia e la sua invasione, essendo le panzer divisionen già con i motori accesi al confine polacco, in attesa dell’ordine di invasione: Il secondo salto indietro nel 1948 nella Palestina, quando al getto della spugna della Potenza Mandataria [l’Inghilterra] si scatenò la furia sionista contro i musulmani, che ebbe il suo episodio chiave nel massacro di tutti gli abitanti del villaggio di Deyr Yassin, nei pressi di Gerusalemme, che provocò il terrore negli abitanti delle zone attaccate dalle bande terroristiche ebraiche, i quali abbandonarono le loro case al grido <Deyr Yassin! Deyr Yassin!> all’avvicinarsi dei terroristi. Una strana coincidenza, su cui vale la pena di meditare: lo scorso ottobre alcune stazioni di polizia lungo il confine con il Bangladesh sono state oggetto di una serie di attacchi armati da parte dell’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa) Questi attacchi sono stati il pretesto che l’esercito ha preso per avviare una <campagna di bonifica per sradicare i terroristi nello stato del Rakhine>. Questa <campagna> sta sfociando in massacri, eccidi, carneficine, violenze e stupri contro i civili musulmani, commessi non soltanto dall’esercito, ma anche da milizie formate da fanatici buddisti, che mettono a ferro e fuoco i villaggi rohingya bruciando le case con dentro gli abitanti, uccidendo e stuprando per costringere alla fuga gli odiati musulmani, ai quali è stata negata, nell’anno dell’indipendenza della Birmania, la cittadinanza, soltanto perché sono musulmani e come tali affermano: <<Il nostro Signore è Allàh>> e per questo sono vittime di <crimini contro l’umanità> di abominevoli violazioni dei diritti dell’uomo. I Rohigya sono vittime del potere tirannico, che si basa sul principio del dominio dell’uomo sull’uomo, come lo furono i credenti di cui parla Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, nella sura LXXXV, delle Costellazioni: <<<Nel nome di Allàh il Sommamente Misericordioso il Clementissimo. Per il cielo dotato di costellazioni!(1) Per il giorno promesso (della resurrezione)!(2) Per uno che rende testimonianza (in esso) ed uno nei confronti del quale (in esso) viene resa testimonianza!(3) Furono uccisi i compagni dell’Ukhdūd, (4) con un fuoco, sempre riattizzato, (5) mentre essi, (i carnefici), seduti attorno ad esso (all’ukhdūd),(6) assistevano a quello che essi facevano ai credenti,(7) nei confronti dei quali essi non si vendicavano, se non perchè quelli (i compagni dell’ ukhdūd) credevano in Allah, al-’azìz (il Possente), il Meritevole di ogni esaltazione, (8) al Quale appartiene il regno dei cieli e della terra! E Allàh d’ogni cosa è Testimone!(9)>>>
Le Nazioni Unite hanno “espresso preoccupazione per le violenze eccessive [chiamano <violenze eccessive> il <genocidio> in atto dei Rohingya] messe in atto durante le operazioni di sicurezza nello stato del Rakhine [chiamano <operazioni di sicurezza> quella che è una vera e propria <pulizia etnica>] e ne chiedono l’immediata interruzione, oltre ad auspicare una riduzione delle tensioni, il ritorno all’ordine, la protezione dei civili…e la soluzione del problema dei rifugiati”. Un problema che, date le dimensioni dell’esodo nel Bangladesh, tali da dover essere definite <catastrofe umanitaria> - sono infatti poco meno di 450.000 – secondo stime approssimative - i nostri fratelli Rohingya che solo nelle ultime settimane sono entrati nella condizione di profughi, cercando scampo alla pulizia etnica che il l’esercito del governo di Myanmar sta perpetrando nell’Arakan, fiancheggiato da branchi di massacratori privati buddisti, assetati di sangue musulmano, guidati da monaci in divisa, capitanati da Ashin Wirathu, il cui volto satanico ha avuto la copertina di Time. Tragica, poi, è la condizione dei boat people rohingya che - cercato scampo nel mare per trovare rifugio nei paesi costieri più vicini – non vengono accolti, ma disumanamente respinti. Si parla, si parla, si condanna, ma a motivo dell’essere Myanmar nella sfera di influenza politica della Cina e della Russia, poco o nulla viene fatto a livello politico, Solo alcune organizzazioni di soccorso internazionale sono in azione per portare aiuto agli infelici come la nostra Islamic Relief e la cattolica Caritas che hanno aperto sottoscrizioni per inviare fondi ai campi profughi di Kutupalong e Nayapara, che sono al collasso. Papa Francesco ha invitato alla <preghiera per i nostri fratelli e sorelle rohingya> che <sono gente buona, è gente pacifica. Non sono cristiani, sono buoni, sono fratelli e sorelle nostri, soffrono da anni, sono stati torturati, uccisi, semplicemente per il fatto di portare avanti le loro tradizioni, la loro fede musulmana>. Anche la Federazione delle Organizazioni Islamiche in Europa si è attivata con vibrante comunicato stampa di condanna della politica interna del Myanmar, formulando diverse richieste di intervento internazionale, per costringere il governo birmano a cessare il suo <terrorismo di stato> e permettere l’ingresso in Myanmar degli aiuti umanitari, di cui viene rifiutato l’ingresso. Prendiamo noi contatto con Islamic Relief e inviamo il nostro soccorso per i nostri fratelli e le nostre sorelle rohingya sofferenti, vittime dell’odio di religione, perché i Musulmani, noi, siamo come un corpo solo per il sentimento che ci lega nell’Islàm e quando una parte di noi soffre, soffriamo tutti. Attiviamoci, quindi, e si attivino tutti gli amanti della pace perché la pace torni insieme alla giustizia in Myammar.

Anche il Papa, l’otto febbraio di quest’anno ha fatto riferimento agli abitanti Rohingya della Birmania (oggi Myammar), che sono sottoposti a una violenta persecuzione, massacrati ed espulsi dalle loro case in una ignobile e disumana pulizia etnica, portata avanti dall’esercito agli ordini del governo militare e da fanatiche milizie volontarie buddiste, che commettono abominevoli atrocità per costringerli alla fuga. Egli ha condannato, inoltre, con forza l’ignobile e colpevole comportamento dei mass media di tutto il mondo che ignorano del tutto la tragedia che si consuma in Myanmar, dicendo-. «Io vorrei pregare con voi oggi in modo speciale per i nostri fratelli e sorelle Rohingya, cacciati via dal Myanmar, che vanno da una parte all’altra perché non li vogliono. È gente buona, è gente pacifica. Non sono cristiani, sono buoni, sono fratelli e sorelle nostri, soffrono da anni, sono stati torturati, uccisi, semplicemente per il fatto di portare avanti le loro tradizioni, la loro fede musulmana. Preghiamo tutti insieme per i nostri fratelli e sorelle Rohingya».

N.° 208

Dhu-l-Hìggiah
1438
Settembre
2017

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