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LIBERTA' DI ESPRESSIONE?

IL FILM “YALLAH, YALLAH” (E ALTRI EPISODI)
Due pesi e due misure
Di: Husam Shakier

Parte prima
2019/09/15 - La folla
ha gridato: “Vogliamo vedere il film!”. La sera del 3 settembre 2019, nel cuore storico di Vienna, intorno alla sala espositiva Artis echeggiò questo canto tedesco. L’establishment culturale austriaco aveva annullato la prima del film “Yallah Yallah!”, diretto dal regista argentino Cristian Pirovano, il quale è stato costretto a parlare per strada della prima produzione cinematografica congiunta argentino-palestinese.
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Il film, ovviamente, non fa appello agli occupanti della Palestina, perché consente al pubblico di tutto il mondo di vedere con i propri occhi ciò che accade dietro checkpoint militari, le tristi mura grigie e attraverso la realtà del calcio, che sotto l’occupazione è limitato.
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Tali esperienze mettono in luce una situazione negativa per la libertà di espressione nelle democrazie europee, dando l’immagine di una mancanza di rispetto di principi glorificati e di una tendenza selettiva a rispettare i requisiti di essa, sollevano la spinosa domanda: “L’evento sarà ignorato dalla stampa locale il giorno dopo!?”.
La situazione non è insolita! Alcune settimane prima dell’annullamento della proiezione del film nel cinema di Vienna, il famoso artista cinese Ai Weiwei aveva lanciato una forte critica al suo esilio autoimposto a Berlino. In un’intervista rilasciata l’8 agosto al quotidiano berlinese Die Welt, egli ha denunciato che Festival culturali tedeschi hanno escluso alcuni film dai loro spettacoli, per cui ha annunciato di aver deciso di lasciare la Repubblica Federale e la sua società “chiusa”.
I motivi dell’annullamento della proiezione del primo film a Vienna furono le virulente campagne di pressione, portate avanti da parte dei sostenitori dell’occupazione della Palestina; e il secondo caso a Berlino ha messo in luce come aziende austriache, che sponsorizzano attività culturali, temano di perdere i propri interessi nei rapporti con la Cina, se sponsorizzano festival,in cui vengono esposte opere che Pechino non vuole siano mostrate al mondo.
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La prova fondamentale della libertà di espressione non è il criticare i regimi socialisti in una capitale occidentale, o il voler liberare l’Islam da un pregiudizio europeo; tali fatti non sembrano essere eccezionali nel contesto europeo, nonostante la centralità data alla libertà di espressione negli slogan, nelle costituzioni e nella coscienza collettiva delle società sottovalutate del continente.
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Ci sono molti film che non hanno trovato l’opportunità per essere proiettati nei festival cinematografici, senza che qualcuno piangesse il giorno dopo; e non ci sono attività culturali e pubbliche, le sale e le strutture delle quali non siano state chiuse per opere cancellate all’ultimo minuto con vari pretesti.
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Esistono molte giustificazioni realistiche in questi casi, in accordo tra loro per ragioni di principio e moralità; infatti le sponsorizzazioni pubbliche e private hanno un debole potere sui contenuti.
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La situazione può essere vista al contrario, così come l’effetto delle forme di finanziamento, sponsorizzazione e sostegno fornite a film, opere culturali, opere mediatiche e artistiche, attività della comunità e della gioventù da fondi pubblici o privati.
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Queste fonti impongono priorità e condizioni, che dipendono da una vasta gamma di spazi culturali e artistici e dagli sforzi della società civile su percorsi specifici.
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Chiunque conceda si qualifica per la leggera influenza nelle scelte, preferenze e contenuti, che pone domande sul livello di libertà indipendente di alcune opere e sui contenuti che indagano su ciò che viene fornito nelle brochure di condizioni e istruzioni.
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Ciò è evidente, ad esempio, nelle priorità individuate dagli attori della cultura, dell’arte e della società civile dell’Unione Europea, che guidano le azioni e gli sforzi, escludendo altre priorità o preferenze.

(continua)

N.° 215

Muhàrram 1441
Settembre 2019

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