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Intervista a Ali Abu Shwaima

shwaima

Sul quotidiano IL GIORNO del 19 luglio 2004, a pagina 10, nella rubrica Il protagonista è stata dedicata a una intervista al dott. Ali Abu Shwaima, Emiro del Centro Islamico di Milano e Lombardia illustrata da una mega-effige e titolata "Io, islamico moderato e la mia vita a ostacoli". Ne offriamo ai lettori una versione riveduta e corretta, già pubblicata sul Messaggero dell'Islàm n° 155.


SEGRATE (Milano) - Sogna un futuro di integrazione per gli immigrati musulmani, luoghi di culto nelle più grandi città italiane e una scuola pubblica, che garantisca ai ragazzi l'apprendimento di tutte le religioni, da quella ebraica a quella musulmana.

Conosciuto come l'uomo del dialogo e della distensione, per molti l'emiro Ali Abu Shwaima, 54 anni, presidente del Centro Islamico di Milano e Lombardia, è solo un personaggio scomodo, una voce fuori dal coro in un momento in cui la polemica sull'integrazione religiosa si sta trasformando in una vera e propria crociata politica.

Per gli integralisti è un "miscredente filo occidentale", mentre i leghisti lo vedono come il fumo negli occhi, perché la sua voce pacata e le sue parole misurate sono lontane dal loro stereotipo dell'islamico "colonizzatore", arrivato in Italia per cancellare le tradizioni cristiane.

Dopo l'11 settembre, per il 54enne Shwaima è iniziato un periodo di tensione, scandito da lettere minatorie, atti di vandalismo, attacchi frontali e perfino un tentato omicidio.

Tre mesi fa un immigrato clandestino di origine marocchina lo ha colpito alle spalle all'uscita dalla moschea del Sommamente Misericordioso, finitima al Centro Islamico di Milano e Lombardia, corrente in Segrate, ferendolo gravemente con dieci coltellate.

L'arma non è mai stata ritrovata e l'aggressore è sparito nel nulla subito dopo il cruento fatto di sangue, che ha messo in pericola la vita dell' Emiro che, una volta fuori pericolo ha dovuto essere sottoposto a una delicata operazione per la ricostruzione del nervo ulnare, affrontare una lunga riabilitazione con problemi di ripresa; problemi che Abu Shwaima si trascina da mesi.

Ma quello che ha preoccupato la Comunità islamica lombarda è stato il clima di tensione che ha preceduto l'aggressione, una serie di minacce scritte e verbali che hanno spinto l'emiro a scrivere una lettera al Ministro dell'Interno per chiedere l'intervento della Digos.

Prima le minacce, poi l'aggressione. Questo significa che esistono tensioni forti tra i gruppi musulmani presenti in Lombardia?
«Non nego che ci sono musulmani con idee diverse, importate dai loro paesi di origine. Si tratta di persone senza apertura mentale, che vedono nell'Occidente un nemico da combattere perché parla male dell'Islàm. In quest'ottica, tutti quelli che cercano un dialogo e vogliono l'integrazione tra i popoli diventano dei nemici. Queste persone, però, non fanno parte della comunità islamica, non frequentano assiduamente le moschee, non rivelano il loro nome e non hanno nessuna voglia di uscire allo scoperto. Dopo l'11 settembre, ho preso una posizione di condanna netta al terrorismo e contro qualsiasi forma di estremismo e questo non è piaciuto a chi ha tendenze più radicali».

Lei aveva chiesto protezione al ministero dell'Interno; perché nessuno è intervenuto?
«In quel periodo il ministero aveva individuato 300 luoghi sensibili da difendere. In una lettera ho chiesto che il Centro Islamico di Milano e Lombardia e la Moschea venissero inseriti nella lista, perché per via del nostro atteggiamento conciliante siamo stati vittime di aggressioni. Ho ricevuto delle lettere di minaccia, con frasi scritte in italiano e composte da caratteri tagliati dai giornali e incollati, che dicevano: "Non pensate distare tranquilli, al più presto il vostro giorno arriverà anche per voi !" Quindici giorni prima dell'aggressione erano venuti qui al Centro due uomini della Digos. Ho fatto vedere ai poliziotti la grossa pietra che era stata scagliata contro la porta del Centro, spiegando che ci troviamo in un quartiere difficile perché lontano dalle abitazioni.

L'autore dell'aggressione è ancora in libertà. E' coperto da qualcuno, oppure gli sforzi investigativi non sono stati sufficientemente forti?
«Qualcuno l'ha aiutato a fuggire. Credo che l'aggressore non abbia agito da solo, ma sia stato convinto da qualcuno, non un gruppo organizzato! Sicuramente ha appoggi forti. Un uomo senza agganci e senza fissa dimora non può sparire nel nulla, considerando che un'ora dopo l'aggressione le forze dell'ordine avevano diffuso la notizia. Ha agito da professionista; è entrato in azione dopo il tramonto, approfittando dell'oscurità e conosceva le mie abitudini. Mi voleva uccidere, perché dieci coltellate sono troppe per un raptus improvviso di uno squilibrato. Un folle colpisce e getta l'arma, invece lui è fuggito portandosela dietro».

Uomo di punta del dialogo interreligioso, negli anni Settanta Ali Abu Shwaima è stato il fondatore dell'Unione Studenti Musulmani in Italia (USMI), si è battuto per la costruzione della prima moschea italiana con minareto dell'epoca moderna, ha ottenuto la concessione di seppellire i morti in una zona del cimitero di Lambrate riservata al culto islamico, ha fatto da mediatore con il Governo per sancire il diritto delle donne musulmane ad apporre sui documenti fotografie con il capo velato.

Lei è arrivato dalla Giordania nel '70 per studiare medicina, si è stabilito prima a Perugia e poi a Milano, ha sposato una donna italiana, è diventato cittadino italiano. Come è cambiato in questi decenni la società nei confronti degli islamici?
«Negli anni Settanta gli stranieri erano pochi; le famiglie ci preferivano agli italiani perché non portavamo le ragazze in casa. I tempi sono cambiati, gli immigrati sono aumentati numericamente, ma i problemi di integrazione non sono così forti come appare sulle televisioni private. La maggior parte degli italiani non ha paura».

Ormai non è solo una questione di integrazione straniera, ma è diventata una battaglia politica. Oggi la scuola, domani ad essere sotto accusa potrà essere il velo?
"Qualche anno fa la Lega scriveva slogan contro i meridionali, poi ha capito che erano un popolo elettorale molto forte e ha cambiato rotta. I leghisti ap profittano di atteggiamenti estremisti di chi vuole mettersi in mostra, come la battaglia contro il crocefisso, per attaccare tutti i mussulmani, dicendo che vogliamo cambiare le tradizioni, la cultura e invadere l'Italia. Per noi è offensivo, ma non abbiamo strumenti per contrastare questo fenomeno".

Lo scoppio della guerra e la politica di intolleranza pare che abbiano ingenerato nella gente una diffidenza contro il velo. Qual è il significato del velo islamico?
«E' un ordinamento di Dio, un precetto al pari della preghiera quotidiana o del digiuno. Non è un simbolo, ma un modo per dare femminilità alle donne e proteggerle dai malintenzionati. Imporre un veto sull'uso del velo, come è accaduto nelle scuole francesi, sarebbe una violenza».

Abu Shwaima è approdato a Milano nel '73, dove ha trovato una comunità islamica diversa da quella perugina, fatta non solo da studenti e commercianti, ma anche da operai e lavoratori in difficoltà. Per questo ha scelto di creare il Centro islamico di Milano e Lombardia, diventato negli anni non solo un posto di accoglienza per immigrati, un punto di riferimento sanitario per i musulmani ammalati, un luogo di culto, ma anche un'associazione culturale a tutti gli effetti. Nel '74 ha aperto la prima moschea del nord Italia in un seminterrato di via Anacreonte, nella zona milanese di via Padova, dove i primi giorni andavano a pregare solo tre o quattro fedeli.

Risale a quegli anni la sua battaglia per poter aprire una moschea riconosciuta dalle istituzioni?
«Si, volevamo aprire una vera moschea e avere un luogo dove seppellire i nostri morti. Nell' 87 il comune di Milano ha accolto la nostra domanda e l'anno successivo abbiamo inaugurato una piccola Moschea, che ha come base di appoggio il Centro Islamico in Segrate.

Il suo sogno, però, rimane quello di avere una Moschea grande (in arabo, Màsjid Giàmi) per tutti i fedeli?
"E' la mancanza di moschee che impedisce ai musulmani di lavorare in modo trasparente. Senza luoghi di culto ufficiali, molti musulmani sono obbligati a frequentare moschee clandestine, aperte nei seminterrati. E' proprio in quei posti che agiscono gli estremisti, influenzando o facendo pressioni su altre persone, più moderate. Per questo chiediamo ai Comuni dove è massiccia la presenza islamica di prevedere dei luoghi di culto per i Musulmani nei loro piani regolatori".

Sulla polemica della scuola, innescata nei giorni scorsi dalla decisione di istituire una classe musulmana, cosa ne pensa?
"Non si possono risolvere i problemi di integrazione in questo modo, la nostra idea è quella di creare uno spazio per tutti nella scuola pubblica, garantendo gli stessi diritti per tutti i cittadini. Si potrebbe utilizzare l'ora alternativa alla religione cattolica per approfondire altri credi, come le religioni degli Ebrei, dei Mussulmani, dei Testimoni di Geova. L'abbandono scolastico non esiste per quelle famiglie che intendono rimanere in Italia a lungo, ma sono i ragazzi che devono tornare in patria a frequentare i corsi islamici. Anche il Consolato italiano ha delle scuole nei paesi stranieri".