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KHADIGIA,
LA MADRE DEL CENTRO
RICORDATA
DA SUO MARITO

Khadigiah, un nome importante nell’Islàm e nella mia vita. Parlare di lei richiederebbe un libro dalle mille pagine e le pagine sarebbero tantissime, innumerevoli, ma di esse il maggior numero le voglio lasciare per me, perché fu lei a essere gelosa di quello che ci accomunava. Invece, qui, voglio parlare innanzitutto, di quando l’ho conosciuta. La sua famiglia era in amicizia con shaykh ‘àbdu-r-Rahman, che in quel momento avevo conosciuto da poco, quando con dei fratelli avevamo trasferito la sede del nostro studio da Perugia a Milano. Uno di questi fratelli non aveva dove dormire e ‘àbdu-r-Rahman ci ha portato dai suoi amici, la famiglia di Khadigia, per poter trovare alloggio. Fu Khadigia ad aprirci la porta, quando arrivammo e non appena la vidi, dal modo come ci accolse, vidi in lei l’Islàm e non ebbi alcun dubbio che prima o poi avrebbe fatto la professione di fede. Nel riceverci fu educatissima, tenendo un comportamento ideale, con il suo luminoso sorriso, che dimostrava la sua purezza e il suo grande cuore. Quella sera fui io a parlare più di tutti e naturalmente parlai dell’Islàm. Ella mi ascoltava con molta attenzione e dal suo viso si poteva capire che mi ascoltava con il suo cuore e con il suo cervello. Frequentai la sua casa con ‘àbdu-r-Rahmàn e l’argomento delle nostre conversazioni era l’Islàm e non passarono molti mesi, che dichiarò di sentire che veramente l’Islàm era la religione di Dio, per cui rese la Testimonianza. Così ella fu la prima donna, che a Milano fu vista con il ḥigiāb e non era molto facile, ma come era lei, una persona che quando crede in qualcosa non c’è nessuno che possa intimorirla, per impedirle di praticare quello che sente che sia giusto fare, era orgogliosa della sua conquista. In quel tempo andavamo a pregare al Consolato Onorario del Kuwait, dove il Signor Ahmad Nasreddin, il Console Onorario, aveva realizzato per i suoi figli un piccolo locale con nicchia direzionale in forma di moschea. Nell’agosto del 1974 il consolato fu chiuso per le ferie estive, per cui anche la moschea rimase chiusa. Per qualche mese potemmo pregare in appartamenti di fratelli, in quanto eravamo pochi, ma il disagio fece maturare in noi la decisione di trovare dei locali da destinare alla nostra preghiera senza dover dipendere da altri. Un giorno, àbdu-r-Rahman disse che nel recarsi a trovare sua madre aveva visto nelle vicinanze un cartello con “affittasi”. Subito Khadigia telefonò al numero indicato e parlando con la proprietaria del locale riuscì a prendere un appuntamento. Fu così che, grazie al suo saper fare, abbiamo preso il locale, un seminterrato nel condominio di via Anacreonte 7 una laterale di via Padova. Non appena abbiamo avuto la disponibilità del locale, ella si interessò alla sua sistemazione logistica, trasformandolo in un accogliente luogo di culto e di studio e fu così che nacque il Centro Islamico, di cui fu animatrice e attivista insieme a me e a ‘àbdu-r-Rahmàn, un trio di lavoro ininterrotto per la Causa di Allàh, durato fino alla sua dipartita l’anno scorso. Dopo un anno di attività al Centro Islamico, ho fatto la proposta di chiedere la sua mano e lei accettò. Chi non accettò questa mia decisione fu mio padre, che Allàh gli usi misericordia, il quale voleva che, una volta finiti gli studi, tornassi in Giordania e mi sposassi lì e a dire il vero prima di conoscere Khadigia non mi era mai passata per la mente l’idea di sposare una straniera.
Se qualcuno mi avesse detto di sposare una donna di questo Paese, gli avrei detto: «Sei matto?». Ma la situazione con Khadigia fu subito diversa. Per tre anni ho provato a convincere mio padre, ma lui era inflessibile, non voleva sapere ragioni. Nel 1977 mio padre venne a Milano per la mia laurea, sicché colsi l’occasione per presentargliela, dicendogli di vederla e assicurandogli che se avesse detto sì sarei stato felice e che se avesse detto no, mi sarei messo il cuore in pace e non ci avrei pensato più. Fu organizzato l’incontro. Dopo la visita nell’accompagnarlo all’albergo, mi chiese: «Quando ti laurei? ». Glielo dissi e lui: «il giorno dopo fa’ il contratto, per sposare Khadigia!». Fui felicissimo, ma dissi: «Non si può fare così presto!». Lui: «Non devi ritardare neanche un giorno!». Per accontentarlo ho discusso la tesi di laurea il 25 di luglio e il 26 ho fatto il contratto di matrimonio. In quel torno di tempo era in corso il campeggio dell’U.S.M.I. (l’Unione degli studenti Musulmani in Italia), a cui erano presenti il prof. Muhàmmad Qutub e il prof. Adnàn Saadeddin, il quale ultimo venne a Milano con i più cari amici di allora per essere presenti e testimoni del mio contratto di matrimonio. Dopo alcuni giorni siamo andati al campeggio, dove per la prima volta venne suonato il flauto, dopo una fatwā del prof. Muhammad Qutub e venne sacrificato un montone, che aveva una piacevole storia con il dott. Mohamed Dachan e il dott. Mohamed El‑Barq. Khadigia entrava nel lavoro islamico a grande titolo, traducendo, dopo ‘àbdu-r-Rahman, che aveva tradotto “Conoscere l’Islàm”, il libro “Vivere l’Islàm” (hàdha d-dìn), pubblicato a nome dell’USMI, poi
dall’Unione Islamica degli Studenti Musulmani, come pure 13 pieghevoli sui principali temi dell’Islam, diffusi dalla WAMI. Ha tradotto il libro “Non può farlo, se non un Profeta”. Ha organizzato l’attività informativa sul versante femminile, dando lezioni di dottrina e pratica alle sorelle, che entravano nell’Islàm. Fu con altre due Sorelle la co-fondatrice della Associazione delle Donne Musulmane in Italia (A.D.M.I.). Con conferenze e corsi di cucina islamica ha stabilito rapporti sociali tra donne del Centro Islamico e donne non musulmane di Segrate in una organizzazione denominata «Sotto lo stesso cielo» ed è stata partecipe attiva, come membro, di un’altra organizzazione femminile locale, denominata «D come Donna», che ha tra le sue attività una fiera per i lavori manuali femminili. Ma torniamo a Khadigia nella nostra vita coniugale. Posso descriverla come la sposa ideale nel dare amore al suo sposo e come rendere la famiglia felice. Non ricordo nella mia vita coniugale un solo giorno in cui mi abbia lasciato dormire in collera con lei, né un giorno che sia uscita di casa senza il mio consenso, né un giorno in cui, essendo in ritardo per impegni del lavoro islamico, abbia mangiato, prima che io arrivassi. L’unico neo nella nostra vita coniugale al limite della perfezione era il fatto di non aver avuto figli per più di dieci anni e la dimostrazione del suo amore e della sua pazienza era il suo dire: «Al-hàmdu lillàh! Il nostro figlio è il Centro Islamico».
E ancor più ella dimostrò la grande caratura del suo Islàm, quando presi la decisione di fare un’altra famiglia. Certo fu per lei un colpo molto duro, ma nonostante ciò ella dimostrò il suo amore verso me e la sua grande pazienza nell’accettazione di quello che Allàh aveva decretato.
Il suo amore lo ha dimostrato quando ho avuto dei figli e a suo tempo tutti i giorni li portava a scuola e andava a prenderli, diventando presidente del circolo della scuola che frequentavano e rimanendo in carica per diversi anni.
Khadiga amava i bambini e non nasceva un bambino a una coppia del Centro Islamico che non lo considerasse come fosse suo figlio e lo festeggiava come fosse sua mamma. Se un bambino si ammalava, ne soffriva come ne soffre una mamma quando il suo bimbo si ammala e se ne preoccupava. Dal suo amore per i bambini è nata l’iniziativa di fondare la «Scuola al-Rahmàn» del Centro Islamico, di cui è stata direttrice fino alla sua malattia. A proposito della sua malattia, nonostante il male che la affliggeva, chiedeva sempre della Comunità e non perdeva mai il sorriso. Giunse Ramadàn l’anno scorso e sono passati i primi sei giorni, in cui – pur nella sua sofferenza – quello che le mancava di più era l’impossibilità di fare l’iftar con le sorelle al Centro Islamico.
Il giorno 9 Ramadan del 1439 dell’Egira ha reso la sua bella anima ad Allàh, lasciando un grande incolmabile vuoto e in tutti coloro che l’hanno conosciuta un caro indelebile ricordo.
Molte cose dei suoi meriti non ho detto, dei quali Allàh terrà conto nell’assegnarle un posto di riguardo nel Suo Paradiso, dove non ci resta che sperare che Allàh ci faccia incontrare.

E la lode appartiene ad Allàh
il Signore della vita e della morte.

In verità, ad Allàh apparteniamo
e in verità a Lui facciamo ritorno.

N.° 213

Ramadàn 1440
Maggio 2019

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