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IL KASHMIR
E LE ALTRE PERSECUZIONI IN CORSO NEL MONDO

Nella spartizione su base confessionale tra Musulmani e Hinduisti, del territorio occupato dall’ “ex-impero britannico”, avvenuta nel 1947, la regione del Kashmìr, benché la maggioranza dei suoi abitanti fosse di religione musulmana, fu assegnata alla Repubblica dell’India (Bhārat Ganarājya), che è uno Stato federale con capitale Nuova Delhi.
La Costituzione indiana, per il fatto che lo Stato del Kashmir è l’unico Stato della Federazione a maggioranza musulmana, tra gli Stati dell’India, che sono a maggioranza indù, riservò a esso uno «status speciale», che concedeva molta autonomia al governo locale, fin dagli anni ‘50.
Il Governo indiano, in questi giorni, nel quadro di un disegno politico a non molto lungo termine di fare dell’India uno Stato confessionale, ponendo l’induismo come religione di Stato, ha tolto l’autonomia al Kashmìr. La revoca dello «status speciale» è stata la prima mossa, seguita subito dalla divisione del territorio in due stati, uno dei quali continua a chiamarsi «Jammu e Kashmìr» con un parlamento statale e l’altro, chiamato «Ladakh», che non avrà un parlamento.
§ Il Kashmir è oggetto di un conflitto di confine tra Pakistan e India fin dal tempo della spartizione del sub-continente indiano in due stati: prima [India e Pakistan] e in un secondo tempo in tre: Bangla Desh, Pakistan e India.
§ Che le cose avrebbero preso, purtroppo, una piega islamofobica, c’era da aspettarselo, giacché quando il nazionalismo prende il potere in uno Stato la deriva anti-islamica caratterizza uno dei cardini della politica interna, se esiste una presenza islamica sul territorio e nell’India indù, che per secoli è stata governata da sovrani musulmani, i quali hanno favorito la convivenza pacifica dei diversi credo religiosi accettata a malincuore dai seguaci dell’induismo, per la sottomissione politica, il nazionalismo indù contiene uno spirito di rivincita con venature di odio nei confronti della componente musulmana, a cui appartenevano i Grandi Mogol.
Da quando nel 2014 il governo indiano ha come premier Narendra Modi, che è un conservatore nazionalista indù, la politica indiana si è progressivamente avviata su un binario di fanatismo confessionale indù, che di giorno in giorno si rivela in crescente contrasto con la storica identità pluralistica dell’India dal punto di vista religioso, che tentò di eliminare con il sincretismo l’imperatore mogol Akbar, di nome musulmano, ma di fatto apostata, il quale nel 1579, autoproclamatosi infallibile in materia di fede, nel 1582 fondò una sua personale religione chiamata Dīn tawḥīdi-l-ilahi, che non ebbe, però, seguito presso il popolo indiano, ciascuna delle numerose componenti del quale, benché sottomesse al potere islamico politico della dinastia mogol, rimase totalmente legata alla propria fede tradizionale.
L’oppressione, a cui la maggioranza musulmana è da sempre sottoposta dalle forze armate indiane stanziate sul territorio kashmiro e la vicinanza del Pakistan, la cui attuale popolazione discende dalle vittime musulmane della tragica spartizione tra musulmani e indù dei territori dell’ex impero britannico, avvenuta il 14 agosto 1947 non poteva non generare una resistenza islamica alla dominazione induista e l’elaborazione di un progetto separatista, finalizzato all’annessione del Kashmir al Pakistan, onde eliminare le cause di conflitto a base religiosa, che hanno dato origine a diverse guerre, che sono state combattute sulla lunga frontiera indo-pachistana. Queste mosse estive riguardanti il Kashmir, eseguite dal governo indiano a guida Modi rientrano nella logica della pulizia etnica, che un parametro di ogni traiettoria politica ultra-nazionalista. Il Kashmir è stato considerato da Modi, fin dalla sua prima elezione nel 2014 un grosso problema da risolvere con la forza, dato che in esso, che è l’unico Stato indiano a maggioranza musulmana e non induista operano gruppi separatisti, che reclamano l’unione al Pakistan paese con cui l’India ha combattuto diverse guerre. Negli ultimi mesi il governo indiano, invece di cercare di risolvere il problema con un accordo internazionale con il Pakistan per la modifica di confini, che sono stati ad arte tracciati per dare luogo a inevitabili conflitti, come la storia dimostra con i confini tracciati dalle ex-potenze coloniali, ha intrapreso la via della repressione di ogni manifestazione di identità islamica nel Kashmìr, con l’invio di 35.000 militari, che hanno occupato scuole, uffici e edifici pubblici, è stato imposto il coprifuoco e gli esponenti del Movimento di liberazione del Kaskmir sono stati catturati e messi in carcere. Sono state vietate tutte le manifestazioni pubbliche. I numerosi turisti stranieri attirati dai meravigliosi paesaggi del Kashmir, qualcosa come un Paradiso terrestre a detta di chi lo ha visitato, come la nostra sorella Amal, sono stati costretti a fare la valige e ad andarsene. Sono state interrotte tutte le linee di comunicazione e internet. I pazienti negli ospedali sono stati cacciati. Ci sono lunghe code per fare rifornimento di cibo, di beni di prima necessità, nonché di carburante. Sul confine è stata avviata una tensione politica con il Pakistan. Nel vicino Xingkiang i Musulmani Uiguri sono perseguitati dagli atei cinesi, nel Miammàr i musulmani Rohinga sono massacrati dai monaci buddisti, a Ghaza, nella Palestina occupata, dagli invasori sionisti. Il fanatismo religioso anti-islamico miete vittime tra coloro che non hanno altra colpa che dire «Rendo testimonianza, che non havvi divinità, tranne Allàh e rendo testimonianza che, veramente Muhàmmad è Apostolo di Allàh».

N.° 214

Dhul Hìjjah 1440
Luglio-Agosto 2019

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