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ISLÀM E BIOETICA

Con la parola islàm si indica dal punto di vista oggettivo un ordinamento normativo etico-giuridico della vita terrena della creatura umana stabilito dal Creatore e dallo stesso finalizzato a che l’uomo realizzi le condizioni per la sua ammissione al Paradiso nella vita futura.
Dal punto di vista soggettivo esso indica la traduzione in pratica del primo pilastro dell’islàm oggettivo da parte del credente nella paternità divina del Sublime Corano e della missione apostolico profetica di Muhàmmad, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria.
Il modo esaustivo di comunicare il concetto di qualsiasi realtà dell’Islàm è quello di farlo con la Parola di Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, che è l’autore del Sublime Corano, o con la parola del Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria. Perciò è opportuno segnalare che l’Islàm si fonda su cinque pilastri il primo dei quali è la Testimonianza verbale che non c’è divinità, tranne Allàh e che Muhàmmad è l’Apostolo di Allàh, che ha da essere asseverata dalla testimonianza comportamentale, L’asseverazione della prima parte si realizza mettendo in pratica i comandamenti dati da Allàh nel Corano, con esclusione dalla propria linea di condotta in una situazione legiferata da Allàh di azioni diverse da quelle comandate dal Corano, provenienti da altra fonte. Mentre l’asseverazione comportamentale della seconda è quello di mettere in pratica precetti, esempi modi di fare e di dire del Profeta, accreditato da Allàh come maestro di vita, con esclusione dalla propria linea di condotta di azioni provenienti da altra fonte. In sintesi nell’Islam tutti gli aspetti della vita dell’uomo sono regolati dal combinato disposto della normativa coranica con la precettistica profetica e la Sunna, la pratica di vita del Profeta. che è la «via» che con termine islamico ha il nome di «sharì’ah». La ratio legis di ogni norma della shari’ah è il rispetto della dignità dell’uomo e del creato nelle sue realtà animate non umane e a quelle inanimate e per quanto riguarda l’uomo il rispetto dell’integrità della sua realtà corporale, della sua integrità morale, dell’integrità del suo patrimonio. Quindi, quando emergono situazioni nuove che richiedono una valutazione di liceità o illiceità e la shari’ah non fornisce una chiara regola di comportamento è necessario il ricorso all’interpretazione per mezzo delle regole indicate dal Corano, vale a dire al Corano e ai precetti del Profeta,che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, per enucleare la valutazione e la linea di condotta da tenere. Gli Ulamā‹ ricorrono alla interpretazione analogica, il cui termine tecnico è al-Qiyās. Il ragionamento analogico è lo strumento logico che permette, con l’ausilio dei criteri specifici, di stabilire nuove norme di condotta per gestire situazioni impreviste, a partire dalle regole prescritte in casi analoghi individuati nella shari’ah. Quando il Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, prima di mandare nello Yemen uno dei suoi Compagni, il cui nome era Mu’ādh bin Giàbal, che Allàh si compiaccia di lui, gli chiese: ««Come giudicherai le controversie che ti saranno sottoposte?»». Mu’ādh rispose: «Secondo il Libro di Allah». Il Profeta: ««E se non trovi nulla nel Libro?»». Mu’ādh: «Allora giudicherò secondo la Sunna dell’Apostolo di Allàh». Il Profeta: ««Se non trovi nulla nemmeno lì?»». Mu’ādh: «Mi sforzerò con il mio criterio in base allo spirito dell’Islàm». Il Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria: ««Ringrazio Allah di aver dato al Suo Messaggero un messaggero di cui il Suo Messaggero è soddisfatto [o come disse, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria]. Per giungere alla definizione di una norma la giurisprudenza islamica si basa su al-Iǧmā’ (il consenso dei dottori della legge), al-Qiyās (l’analogia), al-Maslahah (l’interesse pubblico). Il ricorso ad al-Iǧmā’ (il consenso dei dottori della legge) e ad al-Maslahah si basa su due detti del Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, il quale disse: ««La mia Comunità non si troverà mai d’accordo su un errore»» e ««Ciò che ai musulmani è parso buono è buono anche al cospetto di Allah»» [o come disse, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria]. Dopo questa premessa passiamo in esame a volo d’uccello i temi su cui si è resa necessaria una presa di posizione della giurisprudenza islamica.

L’ABORTO
La gravidanza è lo stato della donna dal momento del concepimento fino al parto: esso ha la durata di nove mesi. In questi nove mesi si svolge nell’utero la creazione da parte di Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, di un corpo. Questo corpo è «cosa» fino al 120° giorno. In questo giorno l’angelo porta «lo spirito» [al-rūḥ], la cui presa di possesso della «cosa» la trasforma in «persona» con tutto il suo destino individuale. Ciò in base a un detto del Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria. Alla luce di quanto sopra il ricorso all’interruzione della gravidanza è consentito, fino al 120° giorno, mentre dopo il 120° giorno è omicidio, per cui è proibito. Il ricorso all’interruzione è consentito anche dopo il 120° giorno, qualora la gravidanza costituisca un pericolo per la vita della madre.

FECONDAZIONE
ARTIFICIALE
Nel paragrafo relativo all’aborto ci troviamo nel caso, in cui il rapporto sessuale tra marito e moglie ha dato luogo al concepimento e i due coniugi non desiderino la nascita di un figlio. Si verifica, però, il caso che due coniugi desiderino un figlio, ma non riescano a realizzare il loro desiderio per via naturale. Che fare? La Legge islamica non prevede l’istituto della adozione, giacché il figlio ha da essere il risultato di un rapporto sessuale tra un uomo e una donna che siano coniugi. Infatti, l’esercizio di attività sessuale da parte dell’uomo e della donna è lecita solo all’interno della famiglia fondata sul matrimonio, da cui deriva loro la posizione di marito e di moglie. Per l’ordinamento etico-giuridico islamico la filiazione legittima è legata alla figura paterna. La situazione della impossibilità di aver figli per via naturali, introduce l’esame della procreazione assistita. Quale la posizione dell’Islam? La premessa sciaraitica di cui sopra è fondamentale per quanto riguarda la procreazione assistita. Il seme deve essere del marito, per cui l’inseminazione artificiale viene definita omologa ed è vietata l’inseminazione artificiale eterologa, cioè che la donna sia inseminata dal seme di un altro uomo. Non è consentita, per la stessa ragione, nemmeno la maternità surrogata o la pratica dell’utero in affitto.

CLONAZIONE
L’aborto e la fecondazione assistita sono eventi collegati all’inizio della vita umana. L’ingegneria biologica ai nostri giorni si sforza di porre all’inizio della vita umana di un individuo anche la clonazione, cioè riproduzione di individui geneticamente identici, by-passando il meccanismo elaborato da Creatore, il cui nome proprio è Al-Raḥman, nome che esalta la funzione dell’utero [ràḥm], il luogo, in cui Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, crea in tre tenebre ogni figlio di Adamo, per cui ha ordinato la famiglia fondata sul matrimonio, sede di amore genitoriale e di pietà filiale! La produzione industriale di soggetti umani è ripugnante per qualsiasi persona dotata di sentimento della propria dignità umana. Per i motivi sopra citati l’Islàm considera abominevole lo stesso pensiero di eseguire una clonazione dell’uomo. L’opinione negativa più diffusa riguardo alla clonazione è quella che ogni forma di clonazione, o di correzione del genoma, sia un’intromissione con intenti satanici nel creato, eccezion fatta per la clonazione di cellule umane sane, che venga eseguita a scopo terapeutico.

EUTANASIA
E SUICIDIO ASSISTITO
La parola eutanasia viene dal greco «eu» = «bene» e «tànatos» = «morte» cioè significa «una morte senza sofferenza», per porre fine a insopportabili sofferenze che accompagnano il fine vita. Sono sofferenze talmente atroci che producono un «cupio dissolvi» nel paziente, che nella fase terminale di alcune malattie, viene tenuto in vita artificialmente, con flebo e ventilazione polmonare. Una volta attivati i meccanismi tecnologici che consentono la sopravvivenza biologica del paziente, anche soltanto a livello vegetativo non è più lecito interromperne il funzionamento, in quanto verrebbe provocata la morte di un uomo, la qual cosa si chiama omicidio. Pertanto l’Islam non consente in nessun caso di interrompere l’alimentazione, l’idratazione e la ventilazione polmonare del malato, la qual cosa integra gli estremi dell’omicidio. In queste condizioni può darsi il caso che avvenga l’avvio di un cosiddetto «accanimento terapeutico», che non è una cura con prospettive di guarigione, ma è fonte di ulteriori sofferenze, per cui alcuni dotti islamici, sulla base del principio, basato su un famoso detto del Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, che afferma essere «la valutazione dell’azione dipendente dalla intenzione», sostengono che sia lecito il ricorso a farmaci che riducano la sofferenza psico-fisica del malato e accelerino l’esito infausto della malattia a causa del necessario aumento delle dosi a fronte dell’assuefazione che dal farmaco è prodotta. La sola condizione è che l’intenzione del medico, nel prescrivere l’analgesico, non sia quella di produrre la morte del paziente. No, quindi, dell’Islàm all’eutanasia, quale che ne siano le modalità di esecuzione da parte del personale medico. No dell’Islàm al cosiddetto «suicidio assistito». Dice Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, che «uccidere un uomo equivale a uccidere tutta l’umanità», per cui, chi uccide se stesso compie un auto-omicidio, atto proibito e causa di entrata all’inferno. Un Giorno, il Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, guardò uno dei combattenti con uno sguardo negativo. Gliene fu chiesto il perché ed egli rispose, «Perchè quello andrà all’inferno!». Alla fine dello scontro quel compagno che aveva fatto la domanda, si aggirò sul campo di battaglia non vedendo in piedi l’uomo guardato dal Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, con occhio negativo. Lo trovò con il suo pugnale infitto nel petto. Uno dei feriti lì vicino disse: «Le ferite gli facevano talmente male, che decise di porre fine di sua mano al dolore». La cosa fu riferita al Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, il quale disse: ««Allàh, l’Altissimo ha detto: «««Il mio servo ha voluto anticipare il suo incontro con me, per cui gli nego l’ingresso in paradiso!»»» »», o come disse, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria. Fu la sofferenza atroce, causata dalle gravi ferite, che determinò, malauguratamente, l’uomo indicato dal Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, a togliersi la vita.

DOLORE
È l’incredulità che porta al compimento della violenza contro la propria integrità fisica, per insopportabilità delle sofferenze causate da certe malattie, fino a causare la propria morte con il suicidio. È l’incredulità nella vita futura e nell’incontro con Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, il Quale per mezzo del Profeta, Egli lo benedica e l’abbia in gloria, ci ha insegnato che la sofferenza è una forma di purificazione dell’anima attraverso l’esercizio della pazienza. Salvare l’uomo dal dolore è un’estensione della misericordia di Allah rifulga lo splendor della Sua Luce, il Quale dice al Suo Apostolo, sofferente per il disinteresse dei suoi contribuli al messaggio di salvezza dell’uomo dal dominio dell’uomo, nella Sura 20, àyah 2 del Sublime Corano: «««Non abbiamo fatto scendere dall’alto il Corano su te, perché tu soffra (2)»»» e nella Sura 23 all’àyah 62 dice: «««Noi non imponiamo ad un’anima se non quanto è nella sua capacità, e abbiamo presso di Noi un Libro che dice la verità! Essi non subiranno alcun torto»»». Disse il Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria: ««Per ogni malattia Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, ha dato un rimedio»», o come disse, per cui è un dovere dell’uomo di conservarsi in salute, curandosi con la medicina, cioè con l’uso di farmaci e di medicamenti. Lo stesso Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria a una domanda sull’uso di medicamenti e talismani, ai quali la gente faceva ricorso, disse: ««Fanno parte del potere di Allah, sia gloria a Lui l’Altissimo»», o come disse, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria. Secondo lo studioso ibn al-Qàyyim «Il ricorso alle cure e ai farmaci [che potrebbe apparire come un voler contraddire al decreto divino della sofferenza e della malattia], non si pone in contrasto con la sottomissione alla volontà divina: infatti, l’uomo si protegge dalla fame, dalla sete, dal caldo, dal freddo con i rimedi che Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, stesso ha fornito cibo, vestiti, acqua e fuoco”. Disse il Profeta, che Allàh lo benedica e l’abbia in gloria, che ««Ogni malattia ha la sua cura, per cui se la cura corrisponde alla malattia la persona che guarisce, torna in salute con il permesso di Allah»». Nulla avviene indipendentemente dal volere divino.

LA DONAZIONE DI ORGANI
TRAPIANTO DA VIVO A VIVO
Ci sono degli organi, i quali sono colpiti da malattie, che portano alla morte, evento che può essere procrastinato con la sostituzione dell’organo malato con un organo sano proveniente da un donatore sano mediante trapianto, cosa resa possibile dai progressi in chirurgia. Logicamente per donare l’organo è necessario espiantarlo dal corpo del donatore per trapiantarlo, per cui si è posto il problema, a proposito dell’espianto e della donazione degli organi, riguardo alla liceità dell’operazione, perché la proprietà del corpo umano è del suo Creatore, Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce. Noi apparteniamo ad Allàh e a Lui facciamo ritorno! Di ciò ci informa Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, nel Sublime Corano [Su coloro i quali, quando una sventura li colpisce, dicono: ‘‘In verità, apparteniamo ad Allàh e, in verità, a Lui noi facciamo ritorno!” (156) Sura II]. L’uomo deve salvaguardare l’integrità del suo corpo, ma il salvare una vita è come salvare tutta l’umanità, per cui è lecito eseguire la donazione di un organo doppio per salvare una vita, purché non venga messa in grave rischio la vita del donatore, sicché l’espianto di un organo doppio, come rene o cornea, è permesso in quanto non mette a gravi rischi la vita del donatore, E poiché il fegato è un organo che si rigenera, è lecita la donazione del fegato. Del corpo, non essendo esso oggetto di proprietà della creatura, ma del Creatore, è illecito il commercio di organi.

ESPIANTO DI ORGANI
da una salma
L’Islam non si oppone all’autopsia e all’espianto di organi post mortem, qualora le operazioni di cui sopra si rendano indispensabili nell’interesse della sicurezza sanitaria della comunità, per motivi di accertamento delle cause del decesso ai fini giudiziari, per motivi didattici, in questo caso con il consenso ante mortem di chi è «intestatario» della salma. Per poter dare inizio alle operazioni di cui sopra, ovviamente, ha da essere accertata con sicurezza la morte. Secondo un documento di chiusura di una conferenza tenutasi ad Amman nel 1986, una persona è legalmente deceduta quando c’è «completo e irreversibile arresto cardiaco e respiratorio», oppure «completo arresto di tutte le funzioni vitali del cervello». Non c’è unanimità tra i Sapienti. Nell’ottica islamica, in verità, sulla base del Sublime Corano, il corpo della creatura umana cessa di essere vivente nel momento, in cui da esso gli angeli della morte estraggono lo spirito introdotto in esso dall’angelo portatore dello spirito il 120° giorno dal concepimento e questo momento può essere quello in cui l’avvenuta estrazione dello spirito dal corpo viene rivelata dalla cessazione di ogni attività fisiologica essenziale alla vita, che può essere anche solo vegetativa, come il coma irreversibile, diagnosticato dall’encefalogramma piatto. Per quanto riguarda il trapianto del cuore, esso è lecito in quanto, quando sono cessate le funzioni fisiologiche indicate dall’encefalogramma piatto,  il cuore continua a battere per alcuni minuti in quanto  il suo battito è autonomo.

N.° 216

Giumada II° 1441
Febbraio 2020

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