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LA MORTE
E IL MORIRE

Nel nome di Dio
il Misericordioso il Clementissimo.
Buona sera. Prima di tutto vorrei ringraziare gli organizzatori di questo convegno, che ha per oggetto un argomento molto attuale e molto importante;e ringrazio, anche, di aver invitato me, nella mia veste di Presidente del Centro Islamico di Milano e Lombardia, che è la prima realtà islamica sul territorio italiano nell’epoca moderna, possiede la prima moschea in Italia con cupola e minareto, che è sita al confine di Milano con Segrate.
Se me lo consentite, vorrei esporre i principi dell’Islàm, che fanno capire qual è l’insegnamento di esso sulla morte. Tutta la vita del musulmano, tutto il suo comportamento, tutto quello che egli pensa e quello che egli fa dipende da una visione del mondo e dall’osservanza di norme, le quali provengono da una fonte, rivelata da Dio, che é il Corano e in obbedienza al Corano anche all’insegnamento e dai precetti del profeta Muhàmmad, su lui la pace, che è stato investito da Dio del compito di dare al musulmano anche gli esempi di un elevato comportamento etico. Quindi, anche il pensiero della morte è basato sul Corano e sull’insegnamento del Profeta Muhàmmad, su lui la pace.

Tre fasi della vita
Prima di tutto l’Islàm concepisce la vita in tre aspetti o tre fasi: non c’è solo la vita terrena, ma oltre la vita temporanea, che vediamo qui e che qui non finisce, c’è la vita della tomba, che in arabo è detta barzakh, cioè quella che è tra due vite; e infine c’è la terza fase della vita, quella eterna, che è oggetto di uno degli aspetti fondamentali dell’Islàm: che è quello di credere nel giorno del giudizio, cioè alla vita eterna dopo questa vita nel tempo. L’uomo non può sottrarsi a queste fasi, che sono legate tra loro, quindi il pensiero, che, lasciando questa vita terrena finisce la sua esistenza e che dopo la morte non soffrirà più non è islamico e non corrisponde alla realtà come la vede il musulmano.

Lo scopo della vita
La seconda cosa è il «perché siamo sulla terra»? Qual è lo scopo? Dio ce lo dice nel Corano quale è lo scopo della nostra esistenza: siamo forse qui per mangiare e bere, per relazionarci, per passare un’epoca.... NO! Dio ci ha creato e ci ha detto «««Non ho creato demoni e uomini, se non perché mi adorino»»». La nostra esistenza su questa terra è allo scopo di adorare Dio e l’adorazione di Dio non si limita soltanto all’ andare in moschea o in chiesa o altro, ma qualsiasi atto positivo della vita dell’uomo è un’adorazione, per cui sia che io sia perfettamente sano, o io sia malato, tanto che io stia bene, quanto che io stia soffrendo, posso trasformare questi miei minuti, questa parte della mia vita in adorazione di Dio.
In questa visione della vita la morte non è considerata dal musulmano l’ultimo dei suoi giorni. Un’altra cosa c’è da aggiungere e cioè che, essendo qui per adorare Dio, la nostra esistenza non è quella dell’aldilà, dove c’è il riposo, dove abbiamo tutto quello che desideriamo, ma è una vita, nella quale siamo sotto prova. Uno studente, che è sotto esame, per ottenere il certificato, o la laurea, deve, senz’altro, fare dei sacrifici. Nessun esame e prova può essere superata senza sacrifici e noi in questa vita siamo sotto prova, sotto esame e quindi in essa c’è il basso e l’alto, lo stare bene e il soffrire e con queste vicende siamo messi alla prova di accettare la volontà di Dio e il suo decreto. Chi non accetta questo non cambia niente per Dio, perché Dio non ha bisogno di noi e non fa le cose secondo la nostra volontà, ma secondo un Suo decreto, che a vederlo nel futuro ci rendiamo conto che è per il nostro bene e per il nostro vantaggio in questa vita.

Lo scopo della sofferenza
La malattia e la sofferenza sono anche un modo per pulirci dei peccati, per far avvicinare gli uni agli altri i membri della famiglia, per rendersi anche conto dell’amore tra te e Dio e tra te e i suoi parenti. Quando uno è sano i suoi figli sono lontani da lui e non vanno a visitarlo nemmeno una volta all’anno, mentre quando è malato, sofferente, vedi il figlio andare a fargli visita tutti i giorni. La malattia, quindi, oltre a purificare la stessa persona, avvicina a essa gli altri che sono o possono essere lontani. Oltre a questo la sofferenza, la malattia ti fa capire il dono di Dio della salute, quando sei sano; e quando vai a trovare il malato, essa ti fa capire il dono di Dio che non ti ha fatto malato. Quando c’è la malattia non si gode la salute e quindi la malattia, la sofferenza, è una parte della nostra esistenza, che ci permette di dare il giusto valore alla salute, dopo la guarigione. Come il musulmano affronta la morte. La morte non è tabù per il musulmano. La morte è una cosa come dire oggi sono qui, domani sono in un altro paese e così via! Per questo una delle invocazioni: ««O Dio, fammi vivere, se la vita per me è miglioramento del mio comportamento e se la vita è meglio per me; e fammi morire, se invece la morte è il modo migliore per me per non fare più peccati».
La morte è sempre presente davanti al musulmano ed essa è da lui considerata come il predicatore più efficace per tenere sui binari del bene il suo comportamento. Infatti, il secondo califfo, che si chiama Omar Ibn al-Khattàb, aveva un anello su cui era, incisa la frase «kàfa bilmauti wa’iban, ya Omar», che significa: «O Omar, ti basti ricordare la morte, per farti rimanere sulla retta via»!

LO SCOPO DELLA MORTE
Sì! Perché la morte ti fa ricordare che questa vita non è eterna; che il tuo comportamento deve essere motivato per quella eterna presso Dio. Questo non vuol dire che il musulmano deve desiderare la morte, anzi vuol dire che il musulmano deve desiderare di stare in questa vita per aumentare la sua bontà, se è buono; se invece non è buono, cioè il comportamento di lui non è come chiede Dio, deve desiderare di avere da vivere, per pentirsi di tornare a Dio. Quindi la vita è sacra, importante il musulmano, per cui egli desidera la vita. C’è un detto che dice: «Vivi per questa vita come se non dovessi morire mai e vivi per l’altra vita come se dovessi morire domani». Questo è il comportamento del Musulmano. Rimane da dire che la morte tocca a tutti, perché Dio ha già stabilito la morte. Né io né tu né il medico nè altri sono autori della tua morte. Uno può essere il motivo, ma è il volere di Dio la causa, perché Dio ha già stabilito. Per questo il Profeta ha detto che quando il feto giunge al 120° giorno Dio manda un angelo, che scrive in esso quattro cose dopo avergli messo l’anima, per cui diventa persona: quanto vive, (cioè quando muore, cioè i giorni che Dio ha stabilito per lui) quello che possiede in questa vita (ricchezza povertà o altro) le sue azioni e se sarà uno pio o uno lontano da Dio. Queste cose sono già stabilite da Dio e per una persona e nessuno può modificarle. Certamente Dio mette anche un motivo per mandare uno all’inferno. Se uno viene ammazzato giovane, non è che muore anzi tempo, ma perché ha stabilito Dio che muoia in quel momento. Il concetto della morte viene insegnato ai bambini nella loro educazione all’Islàm; i nostri bambini sanno cosa è la morte, sanno dove saremo dopo questa vita e per questo i nostri figli vengono da noi al cimitero vengono a piangere i morti, perché sanno che la morte è il momento della vita terrena dell’uomo, in cui egli passa nella vita futura, che è eterna e non limitata come quella terrena.

N.° 216

Giumada II° 1441
Febbraio 2020

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