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Papa Sisto V e gli ebrei

I “DIVERSI” non hanno DIRITTI ma solamente FACOLTÀ Nell’Islàm non ha cittadinanza il concetto di TOLLERANZA. I DIVERSI [appartenenti alla Gente del Libro] non sono TOLLERATI ma, a fronte del pagamento dell’imposta coranica per i non musulmani [al-giz°yah] GODONO DEL DIRITTO ISLAMICO DI PROTEZIONE [ADH-DHIMMAH]
Riportiamo in questa pagina un episodio avvenuto a Roma dorante il pontificato di papa Sisto V perché in esso emerge il significato della parola “Tolleranza” cioè disposizione a indulgere con pazienza agli errori e ai difetti altrui e ammettere una presenza in via di concessione [Pensate:come poteva essere in ambiente nella teologia del quale il Cristo Crocifisso è Dio stesso l’esistenza di appartenenti al popolo che a suo tempo, secondo la comune credenza, aveva crocifisso IL CRISTO (i suoi persecutori ne ebbero solo l’illusione)
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Papa Sisto V, Succeduto a Gregorio XIII, resse il Pontificato per soli cinque anni, dal 1585 al 1590, ma in questo tempo ebbe modo di   occuparsi assai della Università degli Ebrei [Universitas sta per Comunità], per dar loro una tranquillità e una sicurezza, quali da tempo non erano più abituati a   godere. Egli, infatti, soleva dire che i sudditi Cristiani bisognava segarli nel collo, per dare agli Ebrei esempio di buona giustizia; e per farli meglio temere, ma gli Ebrei bisognava colpirli nella borsa per risparmiare un poco quella dei Cristiani.
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Lo storico Gregorio Leti nella sua celeberrima Vita di Sisto V (Amsterdam 1698, pag.446) racconta: “E veramente Sisto non fece morire neanche un Ebreo in tutto il suo severo Pontificato, ma all’incontro spesso li angariava e tirava sangue dalle borse; con tutto ciò, il numero degli Ebrei si era accresciuto in Roma di più di duecento famiglie rispetto alla protezione, della quale erano sicuri, che è quello che il più domanda questa nazione”. Egli infatti, il 22 Ottobre 1586, emise quel famoso motu-proprio che va sotto il nome di “Christiana Pìetas”, nel quale dà facoltà agli Ebrei di venire a abitare in tutte le città dello Stato Pontificio, d’esercitarvi qualunque Arte o Commercio, di trattare familiarmente con i Cristiani, di valersi della loro opera manuale, e di poter acquistare derrate alimentari alle stesse condizioni praticate ai Cristiani. Egli, inoltre, bloccò le pigioni delle case degli Ebrei, e dette incarico all’ Architetto Domenico Fontana di ingrandire il Ghetto, e di costruire “case comode” per gli Ebrei. Ciò che lasciò invariato fu lo straordinario numero di tasse o gabelle, che gli Ebrei dovevano pagare in ogni occasione. Ma come s’è detto, essi pagavano volentieri la loro tranquillità.
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Il Papa, narrasi, venuto a conoscenza che uno stalliere della Famiglia Conti, visto passare per strada un Ebreo, strappatogli avea il cappello, e lui nel Tevere avesse gettato. Fattolo arrestare, lo fece fustigare nella piazza principale del Ghetto. Egli infatti non tollerava che gli Ebrei fossero molestati, né in alcun modo esposti al ridicolo, e alle beffe della plebaglia. Mi pare interessante, per poter ben comprendere il carattere di questo Pontefice, riferire un episodio; certo all’ epoca deve aver suscitate preoccupazioni, polemiche, molte chiacchiere: in ogni ambiente; ma ebbe insospettate conseguenze in campo letterario.

L’ Anno 1587, il secondo del Pontificato di Sisto V, giunse a Roma la notizia che Francesco Drago [Francis Drake], Ammiraglio di S. Maestà la Regina d’ Inghilterra, presa avea e saccheggiata la Città di Santo Domingo (Isole Spagnole). La notizia era giunta a Roma, a Paolo Maria Secchi, autorevole e ricco mercante in Roma, il quale teneva relazioni d’affari con quelle lontane ubertose plaghe. Saputa la grave notizia, ei corse a contarla su a un Ebreo di sua conoscenza, Tal Sansone Ceneda, con cui intratteneva rapporti d’ affari. Ma costui, ansioso falso fudesse disastro segnalato a Secchi, cominciò a ciacolar, portando argomenti atti a smentire; e tanto si accalorò nella discussione che a un tratto sbottò: “Mi ci giuoco i beitzìm”. La frase venne rielaborata pudicamente nella frase messa in bocca al Ceneda che suona: “Scommetterei una libbra di carne del mio corpo che la notizia è falsa!”. Secchi lo prese in parola: “Vabbè, se risulterà notizia falsa, ti pagherò mille Scudi”. Colto alla sprovvista, il Giudeo indietro non si tirò. Chiamò due testimonj, uno Ebreo; uno Cristiano. Su un foglio scrissero: “Scommessa, condizioni. Falsa fudesse notizia ‘’Le Città di Santo Domingo nell’ Isola Hispaniola sieno state prese dal Drago (Francis Drake), Messer Paolo Maria Secchi sarà obbligato di pagare al Giudeo Sansone Cenada Scudi Mille in contanti di buona moneta; se, al contrario, fudesse vera, sarà permesso al detto Secchi, tagliare con sua propria mano, e con   suo coltello bene affilato, libbra una di carne dal corpo di desso Ebreo, in quella parte che lo stimerà a proposito”. Poi firmarono tutti. Disgrazia volle che notizia fosse vera. Sicché il povero Sansone perse la scommessa. Guaj dilagarono. Ei sosteneva: bastava pagasse Mille Scudi al Secchi, in quanto Ei Mesmo così valutata avèa una libbra della sua carne nella scommessa. Ma Secchi non cedette. Ceneda, disperato, dimandò al Governatore si obbligasse Secchi ad accettare la somma, a considerar adempiute le condizioni della scommessa. Ma bene il Governatore sapeva quanto il Papa tenesse a pronunziar  sentenza in casi cotali; andò a trovarLo, Gli espose l’ accaduto fra Ceneda e Secchi. Sisto V ordinò ai sue contendenti fossero tradotti in Sua presenza. Letto il documento scritto colle clausole della scommessa; udìte le ragioni di entrambi, il Papa sentenziò: “Se scommesse fansi, vogliono osservate. E Noi intendiamo, che voi, esattamente, le vostre osserviate. Ergo, rivolto al Secchi disse: “Pigliate voi il vostro coltello tagliente e in Nostra presenza tagliate al Giudeo una libbra di carne, in quella parte che vi piacerà del suo corpo. Ma pigliate ben guardia al taglio, perché se tagliate semplice dragma una in più o in meno; si darà contro di voi, irremissibilmente, sentenza di forca. Che si prepari dunque il coltello, e un paro di bilance, per l’ esecuzione del tutto”. Facile immaginare che accadde allora: il povero commerciante, pallido come già morto, e tremante qual colto da quartana”, cominciò a scongiurare il Papa di stracciare il documento della scommessa e di perdonarlo, che egli niente più avrebbe dimandato all’ Ebreo per la scommessa. Dal canto suo quei ringraziò per la sentenza sì favorevole pronunziata. Non essendo stata eseguita la Sua decisione, il Papa comandò: “I due sieno imprigionati”. Quindi, rivolto al procuratore, domandò quale ritenesse la giusta punizione, per due uomini che avevano osato contrattare una parte del corpo umano, di cui all’uomo è concesso solamente uso, non disponibilità. Procuratore suggerì condanna, a ambo imputati, Multa Mille  Scudi. Il Papa ribatté: “E non altro? Non è forse vero che il Giudeo, col   permetter toltagli sia una libbra di carne dal suo corpo, ha esposta la vita sua alla morte? I due son dunque due omicidi volontarj, e questi nel Nostro Pontificato castigansi con la sola ammenda?”. Impressionato dalla piega dall’iter il Governatore cercò in ogni modo di alleggerire, fra l’ altro, la posizione di Secchi, sostenendo: “Ei voleva soltanto intimidire il Giudeo: fargli comprendere quanto enorme fosse stato il suo errore a far cotanta scommessa, dandogli così una buona lezione”. Papa Peretti fu irremovibile: “L’ omicidio volontario è punito con la morte, nello Stato Pontificio. Vengano dunque i due appesi alle forche”. La sentenza di morte venne così pronunciata, nelle forme tradizionali; e comunicata ai due prigionieri. “La qualcosa - aggiunge il Cronista - messe in scompiglio e timore la Città tutta, ancorché nessuno ardisse qualificarla ingiusta. Primo perché il Secchi aveva parenti molto Onorevoli e Ricchi; e il Giudeo era dei primi della loro Sinagoga. Di modo che gli uni e gli altri cominciarono a ricorrere con memoriali e preghiere appresso il Cardinal Monalto [nipote del Papa] per impetrare almeno la grazia della vita”. Papa Peretti invero non voleva mandare a morte i due scommettitori. Voglia Sua era dar lezioni: non solamente ai due, bensì all’ Orbe e in specie all’ Urbe, ove le scommesse divenivan frequentissime, scatenando questioni, e liti. Porse quindi orecchio benèvolo agli intercessori. Concesse la grazia. Commutò in galera la pena di morte. Dié inoltre ai condannati la possibilità di riscattare il carcere col pagamento di Duemila Scudi, ciascheduno, da versarci all’ Ospedale di Ponte Sisto, che Egli faceva completamente rinnovare. Ma il riscatto accettato voleva soltanto dopo che ai condannati fosse saldata la catena, con Le Palle al piede. Esperita la piccola formalità, pagato fin fine il riscatto, i due Biscazzieri furono rimessi in Libertà.
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Pare che da questo episodio William Shakespeare abbia tratto materiale per il suo IL MERCANTE DI VENEZIA.

N.° 185

Giumada II° 1435
Marzo 2014

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