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Giūḥā
Romanzo gnomico
a puntate

Giūḥā è un personaggio dalla doppia identità infatti, è costituzionalmente uno sciocco, ma nel contempo, come fulmini a ciel sereno, ha delle inaspettate esplosioni di saggezza. Quando il lato sciocco della sua identità lo trascina nel bel mezzo di una situazione, nella quale, normalmente, non ci sarebbero vie d’uscita, per chiunque in essa si trovasse impelagato, ecco che il lato di saggio della sua doppia identità emerge all’improvviso, inaspettatamente. Con un inimmaginabile lampo di genio Giūḥā riesce a districarsi e, mettendo in luce una rigorosa logia, tutta sua, riesce a cavarsela.
È una sua dote naturale la capacità di scavalcare a pie’ pari gli ostacoli, rompere l’assedio delle evidenze banali, risolvere con ironica astuzia le situazioni paradossali in cui si trova invischiato, il far filosofia senza rendersene conto, spremendola dal vissuto quotidiano.
Non è dato sapere se Giūḥā sia un personaggio prodotto dalla fantasia popolare o sia un personaggio storico. Persiani, Turchi ed Egiziani affermano che fu uno di loro. Quel che conta, però, è che, sia esso persiano, turco o egiziano, egli è simpatico, piacevole, giocondo e gli eventi strabilianti della sua vita sono istruttivi e divertenti e con una sottesa vena filosofica.

C’è sempre qualcuno che ha da ridire sul modo, qualsiasi cosa tu stia facendo
Il sole sta per salire all’orizzonte, il muezzin, dall’alto del piccolo minareto della minuscola moschea del villaggio, chiama al rito d’adorazione dell’alba (ṣalātu-l-fàǧr): “Allàh è grande, Attesto che non c’è divinità, tranne Allàh e che Muhàmmad è Apostolo di Allàh, venite al rito, venite al guadagno…Il rito è meglio del sonno!”. Giūḥā, dopo aver fatto l’abluzione, si reca con il figlio alla moschea, esegue con la dovuta devozione il rito e dopo il taslìm [dire as-salàmu ‘alày-kum] di chiusura della cerimonia, esce con il piede sinistro, chiede ad Allàh, rifulga lo splendor della Sua Luce, di aprirgli le porte della Sua divina misericordia, va a prendere l’asino e si avvia a piedi, con suo figlio e l’asino, verso la città, dove si reca per fare acquisti nel sūq (il mercato). Appena fuori dal villaggio, incontrano un conoscente, il quale rivolgendosi a Giūḥā, dice: “O Giūḥā, è una cosa da non credere! Avete l’asino e andate a piedi?”. Giūḥā, colpito dall’osservazione, fa montare il figlio in groppa all’asino. Fatta un po’ di strada, incontrano un altro conoscente, che dice: “O Giūḥā, che sono queste novità ? Tuo figlio in groppa al ciuco e tu a piedi? Non è possibile!”. Giūḥā, colpito dall’osservazione, fa smontare il figlio e monta lui in groppa all’asino. Dopo un po’ si imbattono in un tale, fermo al bordo della strada, che,vedendo il figlio a piedi e Giūḥā in groppa lo apostrofa: “Non ti vergogni, vecchio, di andare tu in groppa all’asino e fare andare a piedi tuo figlio?!”. Giūḥā, incassata la reprimenda, fa montare sull’asino anche il figlio. Dopo un tratto di strada, che sono tutti e due in groppa all’asino ansimante sotto il loro peso, incontrano uno shàykh, lunga barba e voluminoso il turbante, il quale, alla vista esclama, inorridito: “La misericordia, o uomo! In due sopra un povero somaro; dov’è la misericordia, per chi si muove sulla terra?”. Dopo un po’ padre e figlio scendono dall’asino e, dopo averlo sollevato da terra, camminano portandolo in spalla. Giungono così, tutti sudati alle porte della città, dove un gruppo di sfaccendati, commenta: “A quello deve avergli dato di volta il cervello, ha un asino e invece di farsi portare è lui che lo porta”. A questo punto Giūḥā e il figlio mettono a terra l’asino e si siedono all’ombra di un muretto tutti e due grondanti di sudore e Giūḥā dopo avere ripreso fiato dice al figlio: “Figliuolo mio, alla gente non gli va mai bene nulla di quello che fai, tutti hanno sempre qualcosa da criticare, per cui tu non dar retta e fa’ come ti pare sulla base del Libro e della Sunna”.

N.° 195

Rabì I°
1437
Dicembre
2015

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