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L’AMMALIATRICE

Una donna, dalle forme della quale si sprigionava un potere magico, tale da affascinare in modo irresistibile l’uomo, facendogli perdere il ben dell’intelletto, prese alloggio in un villaggio e, benché attempata, con i suoi trucchi e con il suo vestir “ti vedo e non ti vedo” fece perdere la testa a un giovane del villaggio. Innamorato follemente, forse come Maǧnūn [l’innamorato pazzo di Làyla], dell’attempata maliarda, che maliziosamente gli aveva strizzato l’occhiolino per sedurlo, il giovane, incurante dell’evidente differenza di età, chiese a suo padre di andarla a chiedere in moglie. Il padre acconsentì alla richiesta del figlio e andò alla casa della maliarda per chiedere la mano di lei per suo figlio, ma quando la vide rimase affascinato e, tornato a casa disse: “Figlio, quella donna meravigliosa, nonostante l’età, la voglio per me!”. Ne nacque un litigio, sicché si recarono dal Qādī ed esposero le ragioni del litigio. Disse il Qadi: “Voglio vederla questa donna, per emettere un sentenza giusta tra voi!”. Padre e figlio andarono alla casa della donna e le chiesero di comparire in giudizio. La donna acconsentì. Quando il Qādī la vide, rimase folgorato dal fascino della donna e disse: “Questa donna la voglio tutta per me!”. Ne nacque una rissa, sicché a causa delle grida dei tre litiganti intervenne il comandante della polizia locale, il quale, conosciuta la causa dell’alterco e vista la donna, disse: “Eh no! Io ho diritto più di voi tre a sposare questa donna, perché sono più potente di voi!”. I tre gridarono:“Il più potente è l’Emiro, andiamo da lui, perché decida, chi deve sposarla!”. Furono d’accordo e andarono al palazzo dell’Emiro, lasciando la donna fuori dalla sala delle udienze. L’Emiro disse: “Prima di decidere, voglio vederla questa donna!”. La donna venne fatta entrare e, al vederla, l’Emiro se ne innamorò perdutamente, per cui disse. “Questa donna, che veramente, come dite è affascinante la voglio per me, io sono più degno di voi di possederla!”. A questo punto la maliarda disse: “Mi concederò a chi riuscirà a prendermi!” e ciò detto si mise a correre velocemente assai, rivelando una insospettabile dote nascosta nelle sue gambe di gazzella. Dietro di lei si misero all’inseguimento i litiganti tra loro talmente assatanati per lei, senza guardare dove mettevano i piedi, sicché caddero tutti in un pozzo e vi morirono. L’ammaliatrice, allora, si fermò, tornò indietro e affacciandosi alla bocca del pozzo, in cui erano caduti i suoi inseguitori, sfracellandosi, disse: “O voi che mi avete inseguito, il mio nome è Ad-Dùn°yā!”. E le anime degli inseguitori, non ancora separate dal corpo, udirono il suo nome. Avevano inseguito ad-Dùn°ya, la vita terrena.

N.° 196

Giumada II°
1437
Feb/Mar
2016

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